Mentre Napoli sguazza felice in un’altra festa di 33 anni, il Paese torna a volgere lo sguardo verso lo psicodramma a tinte cupe, questa Juve a dirla allegra piuttosto impantanata. Dov’eravamo rimasti? Alla tentazione irresistibile: via Allegri, il padre di tutti i mali, e la Juve riparte come nuova, la più amata dagli italiani, la più odiata dagli italiani. E’ una tentazione cui nella storia pochi ambienti hanno resistito. Rimozione del caprone espiatorio, rimozione del problema. Soluzione agile, rapida, snella. Smart-solution, direbbero quelli giusti.
Ma è serio? Ma è giusto? Se c’è un caso che non può essere emendato in modo tanto semplice, questo è il caso della Juve attuale. Dopo tutto, l’unico ingranaggio che ha funzionato è proprio l’allenatore. Basta fare un banale conto: la Juve ha portato a casa 72 punti, cioè il posto Champions, cioè l’obiettivo di stagione. Se in realtà ne mancano 10, non è per l’impedito che sta in panchina: è per gli impiastri che stanno nella stanza dei bottoni. Onestamente, Allegri non è il colpevole in questo giallo. Non il primo. E neppure il secondo. Se mai è l’ultimo.
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Juve, follie di mercato e Covid
Altro che Allegri. Questo sarebbe il momento di dire chiaro e forte come stanno le cose, senza tanto arrampicarsi sugli specchi. C’è semplicemente una dirigenza - una linea aziendale, una linea di pensiero - che ha finito per pagare e far pagare la sua perversa ossessione Champions League. Se sia normale ambizione o megalomania fuori controllo lo sanno soltanto là dentro. Il punto di svolta, il big bang dello sconvolgimento cosmico, è il giorno in cui una società sana, in campo e in Borsa, decide di portare a Torino Ronaldo per finirla con questo angosciante tabù europeo. E’ da lì che parte tutto, è da lì che bisogna ripartire per attribuire a ciascuno il suo. Seguono le altre follie di mercato, compresi i giocatori a parametro zero pagati come dei Bezos, seguono le disinvolture contabili per aggiungere solo pezze peggiori del buco. Certo arriva anche il Covid, ma non può essere il Covid la ragione prima. Sta in coda, dopo ben altri flagelli umani. Così è, anche se fa male riconoscerlo, anche se è più semplice montare una bella gogna per Allegri e il suo corto muso. Ma non sarà svicolando verso la questione allenatore che si avvierà la catarsi epocale, per rigenerare la Juve. Proprio no. E comunque: se finora è andata da schifo, i prossimi mesi non promettono tanto meglio. Allegri vuole rispettare il suo contratto - suo e del suo staff - che contabilmente fa 34 milioni in due anni. Per cacciarlo, bisogna pagare questi e poi quelli che andrebbero al sostituto (con staff allegato). Non il massimo, per una società già abbastanza indebitata e deprezzata.
Ma forse neppure questo è lo spettro peggiore. Il castigo vero, come in un inferno dantesco, è ritrovare il grande club ossessionato dalla Champions, il club che per questa ossessione si è spolpato e quasi dissolto, ritrovarlo a sguazzare nella Conference, la Coppa proletaria. Un maledetto affare, perché chiamarsi Juve, in certe situazioni, non lascia spazio all’indulgenza: se ti chiami Juve, la Conference devi solo stravincerla, a colpi di 5-0. Non è facile trovare un grande allenatore che abbia voglia di sopportare una condanna simile. Allegri sì: possono dirgli di tutto, non che sia un demotivato. Quello sbrocca e lancia soprabiti anche al torneo del sabato.