E adesso, quo vadis Juve? Pietrificati dal Napoli stellare, milioni di tifosi bianconeri si interrogano smarriti, dopo che il Corto Muso è stato smascherato come un lungo equivoco dallo Spalletti Super Show che ha spazzato via otto vittorie di fila (di cui cinque per 1-0) senza subire un gol, frantumando i sogni di Grande Rimonta. La questione non è più e non solo in chiave scudetto con il distacco dalla capolista, ritornato a 10 punti. La questione è più ampia, in calce ai 5 gol che la Juve non incassava in Serie A dal 30 maggio 1993 (Pescara-Juve 5-1, in rete anche Allegri, ma per gli abruzzesi). Né tantomeno, dopo una legnata del genere, possono consolare i 6 punti in più rispetto a un anno fa, poichè sono 8 in meno in confronto alla Juve di Sarri, l’ultima che abbia vinto lo scudetto. La strepitosa prova del miglior attacco del campionato che ha demolito la miglior difesa, ha messo a nudo i limiti tecnici, tattici e caratteriali di una squadra che non può più accampare gli alibi dei grandi assenti alla Pogba, i cui ottimistici annunci di rientro, lanciati sui social, fanno a pugni con la cronaca di ripetuti rinvii, illusorie speranze, zero minuti in zero gare ufficiali.
Juve di vetro in frantumi
L’utilitaristica filosofia allegriana è stata azzerata non soltanto dalle scelte del tecnico (Chiesa che comincia facendo il terzino, Kostic che nel prosieguo lo surroga, Di Maria che colpisce l’incrocio dei pali e poi sparisce alla distanza, come Paredes che fa subito rimpiangere Locatelli), ma anche dalla giaculata manovra della squadra. Essa ha praticato un calcio arruffone, umiliato dagli olè napoletani e dal micidiale tandem OK (Osimhen-Kvaratskhelia) che dice già tutto con il suo acronimo. Quando si perde 5-1 in casa del più forte Napoli dai tempi di Maradona, non ci sono attenuanti: la Juve di vetro è andata in frantumi, ora bisogna incollare i cocci e ripartire. Ci sono una qualificazione Champions da guadagnare, un’Europa League e una Coppa Italia da inseguire fino alla fine, per dare un senso alla stagione che sinora un senso non ce l’ha. Con un’avvertenza: se Fagioli, Miretti, Kean, Soulè, Iling a vario titolo erano stati la linfa vitale della risalita nelle fatidiche otto vittorie su otto, non è più il caso di tenerli in panchina o di buttarli dentro quando il Napoli sta maramaldeggiando. Questa Juventus sarà anche un rebus, ma il calcio ha una logica che schiaccia le parole: chi gioca meglio, vince molto più spesso di chi gioca male. Quando si chiama Napoli, stravince.