Se questo è l’anno zero della Juventus, è molto complicato intravedere l’anno uno. E questa è la novità più squassante del momento bianconero. La memoria va al 2009-2010, in cui Madama toccò il punto più basso della sua storia recente con tre allenatori (Ranieri, Ferrara, Zaccheroni) cambiati in meno di dieci mesi. L’anno dopo (2010- 2011), malgrado l’eliminazione dall’Europa League ai gironi, sotto la tempesta di neve di Poznan (Delneri in panchina con i moon boot), malgrado un altro anno sociale travagliato, c’era qualcosa che adesso non c’è: la sensazione dell’inizio, l’idea che toccato il fondo si potesse solo risalire, la convinzione del rinnovamento non sostenuto da parole nel vento (esonero, esami, epurazioni, giovani) ma da un lavoro sulle fondamenta. C’era l’idea del rinnovamento, con un giovane presidente dal nome Agnelli al comando, nuovi dirigenti, con uno spirito identitario chiaro, con le regole della Juventus storica, quella che, a differenza delle altre società, da Inter e Milan in giù, non cambia allenatore in corsa, spinta dalla vuota catarsi dell’esonero. Infatti Gigi Delneri, malgrado il crollo gennaio-maggio, restò fino all’ultimo giorno. Forse, di quel tempo, pre novennato, questo è l’unico dettaglio che resta. Il club non ha intenzione di disfarsi di Max Allegri in corsa.
Per il resto, però, non si riesce a capire che cosa succederà ed è l’incertezza, al di là dei risultati negativi e delle inchieste della magistratura, che pesa sul futuro prossimo della Juventus. Da Ronaldo in poi (che, guarda caso, appesantisce la situazione della Juve anche penalmente) si è proceduto per strappi, cercando un “upgrade” che non è arrivato, anzi, ha zavorrato il viaggio bianconero. L’anno zero del pre novennato portava la coscienza che, dopo, sarebbe arrivato l’anno uno e poi il due. Nessuno si aspettava che fossero addirittura nove, ci mancherebbe, ma esisteva la prospettiva. Quella che è assente ora.
Da dove ricominciare? Da un nuovo allenatore. Certo, ma è sufficiente? Dai giovani, figuriamoci, ma non basta. La verità è che il club, da un certo punto in poi, si è convinto che, chiunque stesse in panchina o in campo, la situazione non sarebbe cambiata, che il pilota automatico in una macchina abituata a vincere, potesse fare a meno del pilota. Tutto sarebbe andato da sé. Anche la scelta di Allegri, un anno fa, è stata figlia di questa logica.
Ronaldo non è più in campo, prendiamo Ronaldo fuori, investiamo su di lui, sull’uomo in panca che può rimettere in sesto la squadra, come ha fatto nel 2014. Ecco, di nuovo, l’uomo con il tocco e tutto cambierà, si ritornerà all’antico. Ora si è capito questa strategia ha fallito. Non serve un uomo solo al comando, acquistare il miglior attaccante del momento in campionato (Vlahovic) o inseguire il miglioramento complessivo, nell’anno del Mondiale più assurdo della storia, investendo su due giocatori che non vi vogliono rinunciare e che si gestiscono per quello che potrebbe essere il loro ultimo urrà. Di Maria e Pogba dovevano fare la differenza, non sono pervenuti. Non serve continuare a investire sull’attimo, se non si conosce che cosa rappresenterà il successivo. Antonio Conte, nel 2011, prima di tutto il resto, investì sulla ripresa del senso di appartenenza. Ecco, bisognerebbe partire dai “fondamentali”: che cosa è la Juventus?