Sembra fuori gioco. Netto. Non c’è bisogno di ricorrere al Var della fantasia per stabilire che il percorso della Juve in Champions è ormai compromesso. Nessun punto nelle prime due giornate, mentre Psg e Benfica hanno fatto il pieno: per conquistare gli ottavi la squadra di Allegri dovrebbe compiere imprese che in questo momento e per come sta giocando non sono nelle sue corde, né ipotizzabili. Miracoli, il termine più appropriato. Ma, per dirla alla Oscar Wilde, non credo ai miracoli: ne ho già visti troppi.
La Juve ha trovato un avversario che sta decisamente meglio e dopo una ventina di minuti ha conosciuto la sottomissione tecnica e atletica, soffrendo in particolare gli strappi di David Neres e la lucidità di Joao Mario. Le difficoltà di Paredes, Miretti e soprattutto di McKennie e Cuadrado hanno finito per annacquare l’idea iniziale, oltre al gol dell’improvviso vantaggio. Hanno provato a tenerla in partita Perin e Bonucci, che alla fine si è preso in faccia, come il resto del gruppo, i fischi della sua gente. E dalla rabbia e dalla frustrazione sono spuntate addirittura le lacrime.
Male i titolari, ininfluenti i cambi. Alessandro Alciato in versione bordocampista (una delle sue molteplici interpretazioni) nel segnalare a inizio ripresa che quasi tutta la panchina si stava scaldando ha sottolineato il boato del pubblico rivolto soprattutto a Di Maria. Ora, se l’Allianz si fosse esaltato per gli altri panchinari - De Sciglio, Gatti, Kean, Di Maria, Pinsoglio, Rugani, Soulé, Garofani, Barbieri e Fagioli - avrei temuto per le condizioni mentali dei tifosi: questo passava il convento, ieri sera.
A oggi la sola nota positiva è senz’altro l’ultimo arrivato, Arek Milik, l’attaccante necessario che si è ritrovato alla Juve soltanto dopo che Morata non ne ha più voluto sapere di rientrare a Torino (dicono che gli fossero state fatte delle promesse che la società non ha potuto mantenere: troppo elevato, in effetti, il prezzo del riscatto) e poiché è tramontata anche la trattativa con l’onerosissimo Depay.
Milik ha un’evidente confidenza con il gol, sa giocare con la squadra e negli anni ha imparato a muoversi nella direzione giusta per ricevere il pallone. Lo sa difendere, proteggere. Tenere. Cose che non stanno riuscendo a Vlahovic, che ha sei anni meno del compagno di reparto e, naturalmente, un’insufficiente esperienza in Champions. Non ho certo dimenticato quando la scorsa stagione, dopo averne sottolineato le straordinarie potenzialità, Allegri spiegò che Dusan giocava ancora “sporco” e che avrebbe dovuto capire - lo sta facend - dove era finito.
Qualcuno sorrise, altri cominciarono a dire che la colpa era del gioco, o del non-gioco: mi sa che Max avesse ragione.
Considero Allegri uno degli allenatori più geniali del calcio europeo, temo tuttavia che i limiti di questa Juve siano superiori alle sue capacità: pochi meritano la titolarità, troppo ridotte le distanze tra un giocatore e l’altro. Per questo lui cambia tanto, troppo. Forse è il caso di definire gerarchie più chiare, fare scelte decise, anche per limitare gli stati confusionali.