La Juventus è sempre più quarta, ha avvicinato il Napoli, ora a soli quattro punti, ma è sempre più distante da Paulo Dybala e dalla fantasia. Per ovvie ragioni, sui presenti nell’assai poco esaltante 1 a 0 allo Spezia prevale l’assente. Giovedì Maurizio Arrivabene incontrerà infatti il procuratore-non-procuratore di Paulo, quel Jorge Antun che l’inverno scorso non poté firmare il prolungamento di altri quattro anni e mezzo (accordatogli a parole) poiché non aveva ancora la domiciliazione. Una situazione paradossale, al limite del ridicolo, incredibile nel mondo del superprofessionismo. Da quel momento le cose sono radicalmente cambiate, precipitate: la Juve del sostanzioso aumento di capitale ha fatto conti più freddi, precisi e aggiornato l’elenco delle assenze per infortunio e malanni d’altro genere del ventottenne argentino giungendo alla conclusione che forse non ne valeva, non ne vale la pena. Non più.
Non posso, né voglio occuparmi dei numeri del bilancio della società. Inoltre non saprei attribuire un valore economico al fuoriclasse, calcolando - che so - un ragionevole stipendio. Fatti suoi e loro. Quello che so è che in un campionato come il nostro, che ha via via perduto l’alta qualità e le risorse per acquistarla al mercato mondiale, uno come Dybala è un bene preziosissimo da conservare. Sono spudoratamente di parte, dybalista della prima ora. Per cui invito chi la pensa diversamente (rispetto molte opinioni, non tutte) a evitare di leggere queste note.
Dicono che Dybala non sia mai piaciuto a Nedved. Dicono anche che il primo ad avanzare dubbi sulla sua permanenza alla Juve sia stato proprio Arrivabene, che è uomo di numeri e che dopo l’acquisto di Vlahovic ha peraltro conquistato molti punti credibilità nell’universo tifoso. Dicono infine che il ragazzo insegua la centralità che gli è stata sistematicamente negata, specie dopo l’arrivo di Ronaldo. Di certo c’è che quando fu praticamente ceduto da Paratici al Manchester United (l’affare saltò per l’inserimento dell’Inter che sottrasse alla Juve la contropartita Lukaku) Paulo registrò un video per salutare gli juventini pieno di lacrime sincere: la sua adesione ai colori e allo spirito è sempre stata totale, genuina. Dybala è alla Juve dal 2015, ha messo insieme 281 presenze sulle 357 complessive, con 112 gol e 45 assist. Nella stagione in corso ha saltato il 21% delle partite.
Curioso - pensandoci bene - che proprio nel corso del settimo anno il matrimonio con la Juve sia andato in crisi. E la prendo da lontano. Da Sivori. Ricorderete che appena il ragazzo arrivò da Palermo a Torino molti decisero di paragonarlo al leggendario connazionale, infastidendo naturalmente i sivoriani sopravvissuti alle imprese del tempestoso Cabezòn. Tant’è che alla fine Dybala fu chiamato “la Joya”. L’avessero detto a Omar avrebbe risposto con un calcio lì in basso. E un sorriso. E tuttavia come Sivori, amico caro di Umberto, il papà di Andrea, fu invitato a sloggiare per eccesso di presenza tecnica e personale (fatali i suoi insulti a Heriberto Herrera) e appoggiato al Napoli, così il suo presunto emulo Paulo finirà ripudiato per eccesso di assenze dal campo e nel privato. E per non aver trovato in Allegri corresponsione di amorosi sensi tattici.
A decenni di distanza la musica è sempre la stessa, anzi, altro che musica: qui risaltano i silenzi e secondo taluni - ma non secondo chi scrive - non sarebbe improprio paragonare la crisi di Dybala con Allegri a quella di Robibaggio con Lippi. Certi preziosi calciatori dotati da madre natura non hanno bisogno di parole - dette o ascoltate - per spiegarsi, peggio ancora per piegarsi. Come ai tempi di Sivori (non di Baggio che fu svenduto agli ultras) gli juventini si stanno dividendo su Dybala. E come a quei tempi si affrontano il partito della fantasia e quello della concretezza. Siamo alle ultime battute del campionato, nel momento cruciale delle coppie: se Allegri saprà vincere senza bisogno di lui, la Joya finirà in un altro scrigno. La Juve, di questi tempi preferisce le cassette di sicurezza.