E allora marco stretto Chiellini. In questa primavera di paradossi e contraddizioni tutto è possibile, anche che venerdì sera si giochi Juve-Milan a porte chiuse e il giorno dopo riapra Gardaland: assembriamoci così - in cinquemila - senza pudore. Giorgio mostra una forza e una consapevolezza di sé pari all’apparente semplicità del suo linguaggio. Ogni tanto ci infila una parola inglese, colpa o merito del Master in Business Administration («fin dall’adolescenza avevo il pensiero fisso della laurea»).
Pronto per qualcosa di insolito? Un’intervista nella quale parli bene di tutti.
«Ma io parlo sempre bene di tutti. Anzi, dico la verità».
Hai scritto un libro dal quale ogni giorno si estraggono perle non sempre apprezzate.
«Siete voi giornalisti… (sorride). Pensa che il mio timore iniziale era che uscisse piatto, un libro piatto. Tante volte uno scrive per essere polite. Il dubbio l’ho conservato anche dopo averlo finito e riletto».
Ti sbagliavi. Perché hai deciso di farlo in carriera?
«Perché quando finisce tu sai bene che…»
... che non ti considera più nessuno?
«L’ideale sarebbe stato un pelo prima della fine, quello il momento adatto. Devo essere onesto, il libro l’avevamo praticamente chiuso l’estate scorsa e sarebbe dovuto uscire a Natale. Poi c’è stato l’infortunio. Così siamo passati a Pasqua, per avere un inizio e una fine infortunio. Ci si è messo di mezzo pure il covid e siamo arrivati a maggio». [...]
Qual è l’avversario che ha sfruttato meglio i tuoi punti deboli?
«Cristiano mi ha fatto una caterva di gol, però quello che mi è entrato nel cuore è Ibra. Siamo stati compagni, all’inizio, io giovanissimo cercavo sempre di confrontarmi con lui, lo seguivo ovunque, anche per accreditarmi agli occhi dei compagni e dell’allenatore. Accettare l’uno contro uno con Ibra significava guadagnare in rispetto. Non mi sono mai tirato indietro e da ogni sfida con lui sono uscito più forte e convinto, ha tirato fuori il meglio. Lo ammiro tantissimo».
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