Inter, a proposito della solidità

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Inter, a proposito della solidità© Inter via Getty Images
Ivan Zazzaroni
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Che conclusioni si possono trarre quando, dopo due sole giornate, cinque delle prime sette squadre della precedente stagione hanno già perso una volta? E dico Milan, Atalanta, Bologna, Roma e Lazio… e ci metto pure il Napoli, decimo. Un paio, direi: la prima, e più immediata, è che tutte - tranne l’Inter, la Juve rivoluzionata è da valutare a ottobre - sono in grado di lasciare punti alle altre diciotto o diciannove e quindi il livello generale del torneo continua irrimediabilmente ad abbassarsi. La seconda - ha una sua logica - è che i ritardi sul mercato (mai come in questa sessione), l’impossibilità di presentare formazioni un minimo rodate e i cambiamenti alla guida tecnica producono spesso stravolgimenti, complicando soprattutto le prime uscite.

La principale differenza tra l’Inter e le altre è evidente, si chiama solidità. Che non significa esclusivamente perfezione della fase difensiva, ma anche tenuta mentale, determinazione, un’accentuata sensibilità nella gestione dei tempi e dei momenti della partita. Dopo il pari di Marassi si erano moltiplicate critiche assurde a chi per 70 minuti era stato padrone del campo e aveva lasciato due punti soltanto per un intervento maldestro di Bisseck nel finale. Sette giorni dopo, col Lecce, la squadra di Inzaghi ha fatto quello che voleva, azzerando le distrazioni, raggiungendo l’equilibrio tra i reparti e confermando l’eccellente condizione generale. Apprezziamo tutti il calcio propositivo. Non ho mai nascosto però di preferire quello pratico e vincente che storicamente passa dal prenderne pochi e farne un numero sufficiente, sopra i 70, 75. Cosa non facile. Il punto di partenza è sempre lo stesso, immutabile. I nove scudetti di fila della Juve hanno un minimo comune denominatore: la formidabile solidità difensiva. Individuabile anche nello scudetto del bellissimo Napoli di Spalletti, 28 reti subite, due meno della Lazio, seconda. L’Inter, terza, ne prese 42. Perciò non ci si deve vergognare di sapersi proteggere bene, se soltanto si pensa che una delle battute più efficaci del cinque volte vincitore della Champions Carlo Ancelotti, alla guida di un’armata favolosa, è questa: «Come giochiamo? Li chiudiamo nella nostra area, ci facciamo credere morti e poi li colpiamo in contropiede». Sono convinto, ad esempio, che se questo Milan pensasse a coprirsi bene, trascurando la filosofia e l’estetica un tanto al chilo, perderebbe pochissime partite e tante ne vincerebbe avendo gente che, per dirla alla Allegri, «gioca col campo in discesa». Penso a Leão, Pulisic, Theo, Loftus-Cheek, Chukwueze e Okafor.


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