La finale delle (euro)finaliste s’è iniziata con un quarto d’ora di festa, un gioco di luci e balletti, l’inno di Mameli cantato live da Gaia e, a seguire, il minuto di raccoglimento per le vittime dell’alluvione in Emilia-Romagna (...). E ho subito pensato che sarebbe stato meglio evitare il prologo festoso per provare a onorare seriamente chi sotto l’acqua ha perso la vita e chi la vita l’ha salvata ma ha perso tutto il resto. Sarà perché sono bolognese e emiliano, prima che italiano, ma non ho gradito. E non sono stato il solo.
La partita, divertente quasi esclusivamente per merito della Fiorentina, è sempre stata viva, aperta, nonostante la squadra di Italiano si sia dimenticata ogni tanto di avere a che fare con l’Inter, concedendo troppi uno contro uno e praterie a Dumfries, Barella, Dimarco e Dzeko. Il risultato l’ha prodotto, come al solito, Lautaro. Lui la differenza, la più evidente.
Quando si tratta di coppe e di partite secche, comunque, con Inzaghi S. non si scherza. Ieri sera ha alzato il settimo trofeo - quattro le supercoppe, tre le coppe Italia - confermando l’invidiabile tradizione personale che può anche essere letta così: gli esami senza appello li sa preparare alla grande.
All’Olimpico Simone ha impiegato dall’inizio la formazione che dovrebbe ripresentare a Istanbul, con la sola eccezione di Mkhitaryan al posto di Brozovic se l’armeno dovesse riuscire a recuperare. L’Inter ha disputato una partita di errori (il primo di Bastoni al terzo e di palleggio) ma anche di sofferenza e controllo, subendo a lungo le iniziative della Viola. Che gioca a calcio, sfruttando la qualità dei centrocampisti e degli esterni d’attacco.
Negli stessi minuti in cui l’Inter risolveva la questione coppa Italia, a Brighton il City pareggiava con De Zerbi: immagino che per il 10 giugno Inzaghi studierà qualcosa di diverso perché contro De Bruyne, Bernardo, Haaland e gli altri assatanati non potrà permettersi distrazioni fatali, in particolare quelle del primo quarto d’ora e dei venti minuti finali.