Tra l'Inter e Conte, chi è il più forte?

Tra l'Inter e Conte, chi è il più forte?© Inter via Getty Images
Ivan Zazzaroni
4 min

Ho provato a entrare nella testa di Marotta: non è stato facile, è stato inutile. Troppi pensieri e tutti insieme poi. Comprendo il suo turbamento: sta uscendo da una stagione tormentatissima, gli ultimi cinque mesi sono stati i più complicati della sua ultraquarantennale carriera.

Beppe aveva ben altre aspettative: era riuscito a portare all’Inter l’allenatore di garanzia, il tecnico-scudo, dopo essersi liberato con molte difficoltà dei carichi pesanti (Spalletti, Wanda Nara, Icardi, Nainggolan, Perisic) e da Zhang s’era fatto affidare un mandato relativamente ampio, anche se lavorare con le proprietà cinesi è tutto un programma, come insegnarono Capello e Sabatini: alcune distanze non sono accorciabili. Il giovane capo gli aveva allungato cinquanta euro, non dieci, per andare al ristorante da cento: e allora Lukaku, strappato all’odiamata Juve, e Lazaro, Sanchez, Sensi, Barella, Biraghi e in un secondo tempo Moses, Young, Eriksen e insomma qualche giovane di valore e un intero campionario di riserve della Premier. Beppe era convinto che Antonio avrebbe cambiato in fretta i destini del club portando a casa qualcosa, i titoli non sono però arrivati. Primi degli ultimi tanto in campionato quanto in Europa-2: e sarebbe niente, se ad accompagnare ogni delusione non fossero intervenute le critiche pubbliche e pesantissime dello stesso Conte all’indirizzo proprio dell’ad - per Zhang solo carezze e ringraziamenti.

Posso garantire che Marotta ha fatto l’impossibile per sostenere l’allenatore: l’abbiamo provato anche sulla nostra pelle quando per un “esaurito” sfuggito a un lettore interista nella posta di Cucci (sono altri gli esauriti ai quali ambiamo) l’Inter, ovvero una delle società più aperte alla comunicazione nelle stagioni di Moratti, è giunta a chiudere per mesi le porte della Pinetina allo stimato cronista del Corsport.

Sì, ieri ho provato davvero a entrare nella testa di Marotta, che conosco dal ’90, per cercare di immaginare come si sarebbe comportato nel giorno del chiarimento allargato e quale strada avrebbe suggerito di percorrere, fra le tre ipotizzabili: 1) Conte conferma i giudizi espressi dopo la sconfitta in finale e si dimette lasciando sul tavolo il suo contratto e quelli dei collaboratori; 2) Zhang comunica al tecnico che i canditi sono effettivamente finiti e con quelli la pazienza: avanti con il confronto legale, visto che la società si ritiene da tempo nel pieno diritto di ricorrervi; 3) Zhang, che guarda più ai conti che a Conte, tranquillizza Antonio e il rapporto prosegue fino al prossimo strappo. Un film già visto a Torino e Londra.

Oggi l’Inter aggiunge al suo inesauribile romanzo un capitolo non più stravagante, come spesso in passato, uno di quelli che si recitano a memoria sorridendo dopo una pur attesissima vittoria. Il capitolo nuovo è un incrocio fra un’analisi tattica da opinionisti allo sbaraglio e un report del Sole 24 Ore. Come dicono i cinesi, c’est l’argent qui fait la guerre. È mancato, in questa stagione di speranze frustrate dopo l’illusione di vittorie bonipertiane con l’arrivo di uno juventino titolato - uno come Carcano - il pensiero luminoso, oserei dire confuciano, di Peppino Prisco che al nome di Conte avrebbe rammentato, con quel sorriso brigante: «La Juventus è una malattia che uno si trascina fin dall’infanzia». Sintomatica.


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