Hanno tenuto gli applausi per lui. Silenzio alla lettura della formazione del Torino. E silenzio, interrotto da qualche gridolino dei più giovani, anche quando lo speaker ha provato a riportare la gente al calcio presentando i giocatori del Cagliari. Non appena sul maxischermo è apparsa l’immagine di Gigi Riva, lo stadio si è rianimato, ma sempre con grande compostezza: sono comparsi striscioni, bandiere, foglietti, scritte, disegni e il popolo di Gigi ha spinto uno dei figli di Rombo di Tuono ad alzarsi in piedi e applaudire.
Così fisicamente diverso dal padre, Nicola, ma autentico al punto da ricordare, il giorno del funerale, che «come sempre, ha deciso lui cosa fare». È stato suo padre a voler andare via. Si dice che l’uomo in silenzio sia più bello da ascoltare. I sardi lo sanno bene. I sardi lo fanno meglio anche se sanno sfuggire al dolore. I sardi o amano e ti adottano o sono loro a isolarti. I sardi sono abituati alla verità, anche alla più cruda. Ieri sera si sono liberati della corazza che fa schivare sentimenti troppo forti e ci hanno emozionato. Ieri sera hanno pianto le lacrime degli orfani e si sono sentiti ancora più soli, distanti.
Ieri sera Cagliari ha avvertito fisicamente il peso dell’assenza. Perché Gigi Riva era Cagliari, il punto d’orgoglio, l’amore esclusivo, la protezione del simbolo, il papa laico. Lo stadio costruito nel parcheggio del Sant’Elia li ha riportati all’Amsicora, a quegli anni meravigliosi, purtroppo o per fortuna irripetibili. Gli educati Settanta. Squadra e spettatori hanno trovato l’armonia nascosta nella partitura di una stagione resa complicata anche dalla sfortuna. Sospetto che i soli a commettere un errore siano stati quelli che, come noi, hanno voluto riempire di parole il silenzio tanto caro a Gigi. E ai sardi.