Bologna, la città bolle per la Champions

Leggi il commento sui rossoblù e l'esordio contro lo Shakthar
Bologna, la città bolle per la Champions© LAPRESSE
Italo Cucci
3 min

Bologna in Champions, e perdonatemi se trascuro Como. Spero che duri il tempo di farci una canzone. Ma non come ai tempi di Dino Sarti. Intanto i neofiti si godono l’immagine della Coppona esposta nel negozio di Sky. La sento anch’io, la Coppa, fra ultimi che si presentarono a Barcellona e furono beffati dalla monetina. 

Giuro che alla vigilia del sorteggione ho sognato un avversario che per fortuna non c’è. Ho fatto un sogno viola. Anzi, mauve, color malva. Erano le odiate maglie dell’Anderlecht, quella di Van Himst, in particolare, il campione che ci fece piangere quando il Bologna di Negri, Furlanis, Pavinato, Tumburus, Janich, Fogli; Perani, Bulgarelli, Nielsen, Haller, Pascutti, allenato da Bernardini, fu ingiustamente fatto fuori. Un incubo. Anche perché li rividi più volte, quei belgiacci, anche nel loro covo birroso a Bruxelles, sempre con il Bologna. C’era Mondino Fabbri e li odiava anche lui.

Poi mi son destato quando è venuto fuori il primo di otto nomi, tutti nobili, lo Shakhtar Donetsk, a seguire Liverpool, Aston Villa, Monaco, Lilla, Borussia Dortmund, Benfica e Sporting Lisbona. C’è da farsi una cultura. Finalmente un po’ d’Europa come si deve, l’ultima volta andai a Varsavia col Professor Scoglio e non mi divertii molto.

Mercoledì 18 settembre, dunque, sessant’anni dopo, ariChampions, la città bolle, anche se si sente la mancanza di Zirkzee, di Calafiori, di Motta. A me manca Saelemaekers. Per me era il più utile. Ma non è ora di critiche, men che mai di polemiche. I supertifosi tengono banco nei dibattiti e nei bar, alcuni non c’erano, nel ‘64, l’anno scudetto, e quelli che erano bambini fingono di avere avuto diciott’anni e goduto la prima notte d’amore. In ogni caso, non disperiamo, almeno otto viaggi li facciamo, poi si vedrà.

Lo Shakhtar mi ricorda due cose: la prima, essermi rifiutato di andare in Ucraina, nel Donbass, mille anni fa, quando i giocatori si chiamavano Minatori, il viaggio era un tormento, il luogo una pena. La seconda, le notti in cui parlavo di guerra con De Zerbi, resti o scappi? No, i ragazzi non li mollo, domani ci spostiamo a Kiev… Qualche notte poi, d’improvviso mi disse sento le bombe, parto…

Beh, sicuramente è bello non solo affrontarli al Dall’Ara, gli ucraini, ma regalargli anche un sorriso, un piatto buono (non fatemi parlare di mortadella, gli americani la temono più della polvere colombiana). Insomma un’accoglienza di pace, mica quella propagandistica dei finti pacifisti: facciamoli sentire a casa loro. E battiamoli, naturalmente. Ricordandoci che sono allenati… alle battaglie.

Mi ricordo quando li allenava Nevio Scala, il primo italiano che andò da quelle parti. Poi lunghi anni di un quasi italiano, Mircea Lucescu, Fonseca…Teniamo presente che non sono solo una squadra ma una realtà sociale, politica, un gruppo di guerrieri al servizio di un principe ribelle. Un dirigente ucraino - tale Palkin - è stato chiaro: vinta la Supercopoa ucraina con De Zerbi è cominciata un’altra vita, l’unico pensiero sopravvivere. La sede del club un rifugio per sfollati. Le partite casalinghe in Germania, ad Amburgo. «Donetsk è la nostra casa, ci torneremo, continueremo il nostro sogno». Toh, mi fido più di loro che di Zelensky.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Bologna, i migliori video