Beukema esclusivo: "Bologna carico per la Champions, datemi Mbappé e Vinicius"

Intervista all'olandese, pilastro della difesa rossoblù che si trova a meraviglia con il gioco di Italiano: cos'ha detto
Marco Evangelisti (inviato a Bologna)
9 min

Ti aspetti che guardi dall’alto in basso, perché ci è nato e perché lo disegnano così, e invece no. Sam Beukema ride e sorride ed è alto senza essere colossale, è imponente senza intimidire. Diciamo Sam o diciamo Sem? «Sam, Sam. Non so perché in Italia mi chiamino tutti Sem. Forse dovrei girare con un cartello al collo». Del difensore centrale ha il mento deciso, dell’olandese la lucidità di pensiero. Del bolognese la determinazione ad appassionarsi a tutto ciò che sperimenta. «Ero bravo alla PlayStation, al calcio digitale. Lo sono ancora, ma adesso ho meno tempo. Fatto sta che c’è una cosa che si chiama Weekend League, un torneo internazionale, e un fine settimana di cinque anni fa sono arrivato undicesimo, in tutto il mondo. Non credo che a un calciatore professionista sia utile smanettare. Credo il contrario, cioè che se sei bravo nella realtà sei bravo anche a gestire la simulazione. E poi è un modo di restare in contatto con i miei amici olandesi. Almeno parliamo attraverso le cuffie». Tanto per dire con chi abbiamo a che fare. Capo della difesa del Bologna, in campionato e in Champions, in attesa di un compagno di giochi veri. Centrale emergente, probabilmente già emerso, in attesa di chiamata da parte di una Nazionale affollata. Il resto lo racconta lui.

Beukema, nella scorsa stagione il Bologna e lei siete stati le sorprese. Adesso come farete a nascondervi?
«Annata meravigliosa di un gruppo unico. E non è che all’improvviso abbiamo capito che stava succedendo qualcosa di grosso. Nessun clic. Semplicemente abbiamo battuto la Lazio, poi la Roma. Abbiamo vinto con l’Atalanta, con l’Inter in Coppa Italia. E insomma, dentro la nostra testa a poco a poco ha preso forma la consapevolezza. Ed eccoci in Champions. L’avevamo sognato, ci siamo svegliati ed era realtà».

Non avrete finito di sognare, si spera.
«Io non ho mai disputato la Champions e anche per il club è un’esperienza del tutto nuova. Però la formula è stata rivoluzionata e neppure le altre squadre la conoscono. Noi ovviamente siamo carichi».

Se bastasse essere carichi, con le avversarie che ci sono in giro.
«Siamo qui per migliorarci, in Coppa Italia come in Champions. Per quanto mi riguarda, io vorrei affrontare subito il Real Madrid. Scoprire di che cosa sono capace contro Mbappé e Vinicius, i migliori attaccanti del mondo».

Condivisibile. Notiamo però che non cita lo scudetto.
«In realtà non ci siamo posti obiettivi da nessuna parte. Abbiamo appena cominciato, vediamo come va e forse a febbraio potremo fermarci a riflettere. Intanto domenica abbiamo il Napoli e non è una partita banale».

Un Napoli ancora senza centravanti.
«Ci sono Kvaratskhelia, Raspadori, Simeone scusate se è poco. Certo, Osimhen è un’altra storia. Ancora porto i segni dei duelli del campionato scorso. Però non mi faccio problemi. Chiunque giochi, io sarò pronto».

Uno come Conte, con la pressione che esercita, è l’uomo giusto per una squadra nella situazione psicologica del Napoli?
«Non sono affari miei, ma di sicuro l’allenatore è bravissimo e lo ha dimostrato. La scelta in sé è corretta, se porterà risultati lo sapremo presto».

Ripensate mai a quel rigore negato nell’andata con la Juventus? Avreste potuto essere ancora più in alto.
«Ci abbiamo pensato pure troppo. Sono anche venuti qui al centro sportivo gli arbitri a spiegare l’errore. Meglio dimenticare».

E veniamo a Thiago Motta e Italiano.
«Dal punto di vista tattico, Italiano vuole più profondità mentre l’anno scorso cercavamo sempre il palleggio. Adesso qualche volta posso lanciare lungo e la cosa non mi dispiace. Sono due perfezionisti. La differenza è che Italiano durante l’allenamento parla di più».

Motta comunque ha cominciato bene alla Juve. E adesso vuole a tutti i costi il suo amico Koopmeiners.
«So che Koop desidera questo trasferimento e spero lo ottenga. Io non conosco i retroscena del rapporto tra lui e l’Atalanta. Posso solo dire che finché sto in un club mi alleno, lavoro e gioco per quel club. Con questo non intendo giudicare nessuno».

Come fa l’Olanda a produrre di continuo nuovi talenti in tutti i ruoli?
«Perché nasciamo con il pallone tra i piedi. Non concepiamo una giovinezza senza giocare a calcio. Da questa cultura deriva l’organizzazione. Fino a qualche anno fa l’Ajax aveva l’accademia migliore. Adesso Az e Psv sono al vertice. E non avete ancora visto la prossima generazione».

Ci sta spaventando. Poi se ci mettiamo a contare i difensori centrali ne troviamo una ventina titolari nei cinque maggiori campionati europei.
«E questa non è una buona notizia per me, che tra Van Dijk e De Ligt e gli altri ancora aspetto la convocazione in Nazionale. Magari mi aiuterà il palcoscenico della Champions. Come ho detto, in Olanda tutti hanno piedi che sanno trattare il pallone. Dal riscaldamento alla fine dell’allenamento, usiamo sempre la palla. Ci crescono così. Se poi gli allenatori ci scelgono per questo, per impostare meglio dalla difesa, non saprei dirlo».

Vinicius e Mbappé a parte, quale avversario l’ha fatta sudare di più?
«Lookman. Sa fare tutto e non sai mai quando lo farà: bravo con i piedi, bravo senza palla, va in profondità ed è velocissimo. Mi faceva male anche Zirkzee, durante gli allenamenti».

Girano per Bologna un olandese, uno scozzese e uno svizzero.
«Sembra una barzelletta, vero? Sì, io, Ferguson e Ndoye siamo molto amici. Ci piacciono le stesse cose. Mi trovo bene anche con El Azzouzi, perché è marocchino e olandese insieme. E mi trovavo bene con Zirkzee. Ma con Ferguson e Ndoye ci alleniamo insieme, parliamo, giriamo per il centro, andiamo a cena, ci dedichiamo allo shopping, ci divertiamo un mondo. Siamo tre persone positive. E talvolta facciamo un po’ di confusione. Ma non sul lavoro».

Per carità. È stato peggio perdere Zirkzee o Calafiori?
«Alla pari. Ma meritavano di andare avanti con la loro carriera. Auguro loro ogni bene».

Restare al Bologna sarebbe stata una battuta d’arresto per loro?
«No, voglio dire che oggi le correnti del mercato portano molto più facilmente i giocatori di qua e di là. Io sono totalmente concentrato sul Bologna, ma chi può dire che cosa accadrà tra qualche stagione? Inoltre, perché mai il Bologna non dovrebbe diventare un club d’élite? Le persone giuste ci sono. L’Atalanta c’è riuscita e non mi pare abbia fatto tutto in un anno».

Adesso è lei a essere considerato il leader della squadra.
«Non mi considero tale».

Conta quello che pensano i compagni.
«Forse perché in campo non smetto mai di chiacchierare. Ma è il mio mestiere. Sono un difensore, non posso lavorare stando zitto».

Sembra che il campionato italiana vada perdendo protagonisti e fascino.
«Non sono d’accordo. Il calcio moderno è questo. Va via gente, ne arriva altra. Il livello resta alto. Premier, Liga e Serie A mantengono il vertice. Io da quando ho immaginato di diventare professionista ho sempre desiderato di giocare in Italia».

E, a parte nascere con il pallone tra i piedi, che cosa l’ha spinta verso questo mestiere?
«Non la famiglia, di sicuro. Sono figlio unico, mio padre era portiere di hockey su prato, mia madre ginnasta. Ora lui fa il procuratore nel calcio, ma prima aveva un’azienda che smaltiva rifiuti. Mia madre invece lavora come volontaria nell’assistenza ai bambini con la sindrome di Down. Avevo intorno amici e compagni di scuola che giocavano al calcio. Io ero bravo. È venuto naturale».

L’Italia sì che è una questione di famiglia, a quanto si sa.
«Abbiamo un appartamento a Riccione. Mia madre era venuta a lavorare per la stagione estiva: albergo, discoteca. Pensò: quasi quasi torno anche l’estate prossima. E così via, stagione dopo stagione per dieci anni. Stava per trasferirsi definitivamente, ma ha conosciuto mio padre e dopo un anno sono nato io. Abbiamo continuato a venire per le vacanze».

Ma è così divertente Riccione?
«Se non ci siete mai stati, ve la consiglio. Soprattutto ad agosto. Ed è anche perfetta per allenarsi. Fa persino fresco».


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