Signore e signori, ecco a voi il Bologna da Champions. Diceva spesso, il mio amico Azeglio Vicini, in dialetto, quando la speranza cominciava a cantare: «Un pont par fer i cont». Un punto per andare in Champions e sarà la festa rossoblù più grande e più bella dopo sessant’anni, dopo quel 7 giugno del ‘64 che consegnò al Bologna il settimo scudetto. Un punto per festeggiare insieme il passato e il presente. Per azzardare un futuro degno della squadra che fece tremare il mondo. Motta e i suoi ragazzi hanno comunque e giustamente fatto festa grande perché hanno colto la vittoria più bella al Maradona, un tempio del calcio, e non hanno esagerato, ché in fondo mancavano triccheballacche, caccavelle e putipù; anzi: quelle foto, quegli abbracci, quelle scene di felicità restano un omaggio anche agli sconfitti, a un Napoli che un anno fa è stato ‘na cosa grande e che negli ultimi 45 anni, in diverse competizioni, ha giocato con i rossoblù 149 partite cogliendo 60 vittorie, 42 pareggi e 47 sconfitte. Adesso tocca a noi - voleva dire quella festa. Con la benedizione del Pibe de Oro che quando ci incontrammo l’ultima volta - e la nostra bell’amicizia era andata in crisi - fu proprio lui a rinnovarmela canticchiando dolcemente «Forsa Bolonia!».
Bologna, la tua casa è Piazza Grande
Signore e signori, siamo stati a teatro, abbiamo goduto uno spettacolo eccellente, una pièce intitolata “Il Bologna del coraggio” ha rinverdito antiche glorie con i gol di Ndoye e Posch; l’emozione continua è diventata anche affettuosa pena quando Zirkzee è uscito dolorante, ma Motta, alla fine, ha ridimensionato il dramma. E adesso fate come me, rivedetevi la partita, riavvolgete il nastro, fermatevi al minuto 68. Cos’è successo? - direte - Osimhen ha sparato fuori. E allora? Allora il mio moviolone mi dice che al 68' Ravaglia ha in verità sfiorato con la punta delle dita il pallone di Osimhen, l’ha messo fuori, ha segnato il suo secondo gol personale dopo aver parato al 20' il rigore di Politano. E lasciatemelo cantare - Ravaglia! Ravaglia! - fra tanti stranieri finalmente un bolognese, invece, apparso sulla scena come un deus ex machina grazie all’impavido regista Motta, un ritratto del coraggio e della felicità. De Laurentiis potrà dire «Dopo Spalletti ho cercato lui, non ha voluto…». Non un rifiuto alla città, caro Aurelio, ma un disegno professionale. Un sogno profetico realizzato. E allora mi scusi, Thiago, ma dove vuole andare? Da chi ha i soldi ma non il cuore? Da chi ha il pane, ma non ha i denti? Se è emozionato lei, pensi Saputo che sta contando i dindini. Non ascolti le sirene dell’invidia, si goda l’amore di una città che le si offre, svelata e generosa, come un’amante. La nostra casa è Piazza Grande.