Lazio-Atalanta, Conte e Inzaghi tifano Baroni

Aggiungi  un Gasperini a tavola. Uno scomodissimo invitato in più alla mensa scudetto. Il Dentista avanza tra gufi e rosiconi. E in questo clima dà il meglio di sé
Cristiano Gatti
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E per fortuna sua non è tipo da impiccarsi a obiettivi come il piccoloborghese “scudetto d’inverno”. Gasperini avrà magari mille difetti, non quello di raccontarsela con le mezze misure e i titoli di latta: sa alzare la testa e guardare sempre là in fondo, dove stanno le cose serie e le cose vere, maggio. Finita l’epoca dei contentini e dei pat-pat sulle spalle, quando uno scudetto d’inverno avrebbe mandato Bergamo e l’Atalanta fuori di testa. Adesso la creatura s’è fatta adulta, all’ottavo anno d’élite sente il diritto di immaginare una prima posizione finale, non al traguardo volante, dove i gregari del ciclismo danno l’anima per vincere la lavatrice. Oltre tutto, anche volendo caricare di importanza artificiale il titolo di metà gara, il Gasp non potrebbe neanche goderselo in pieno: con questa storia dell’ultima di andata spostata per la Supercoppa d’esportazione a Riyad, con questa storia che l’Inter deve comunque recuperare contro la Fiorentina, sarebbe in ogni caso uno scudetto invernale da asterisco fisso.

Bisognerebbe aspettare questo e quello, bisognerebbe imbottire il primato di ma, se, però. E resterebbe miseramente in canna il titolo che già freme in tante redazioni, Atalanta Dea del freddo. D’altra parte, non esiste discorso se l’Atalanta non batte la Lazio. Il partitone notturno non è uno scherzo, neppure per la squadra stupore che ha vinto le ultime undici di fila. Tanto per cominciare la Lazio resta la sorpresa più bella lì nei piani altissimi, a dispetto del cappottone che l’Inter le ha cucito addosso a domicilio. Proseguendo, l’Atalanta non esce a livello di efficienza da un dicembre memorabile: le ultime vittorie su Roma, Cagliari, Udinese, Empoli restano vittorie e valgono sempre tre punti, ma in nessun caso si può parlare di Atalanta furiosa e dentista, insomma di Atalanta quando è Atalanta. Se volendo si aggiunge che mancano pure i due centravanti più forti, Scamacca e Retegui, dopo tutto i più forti d’Italia e della Nazionale, allora si comprende come la trasferta di Roma sia molto più di un qualunque test d’altura: per rimanere a quella quota, sull’ottomila della classifica, l’Atalanta deve riprendere il grande respiro delle sue avventure più epiche.

In questo clima, una sola certezza: non sarà mai il Gasp, neppure stavolta, a frignare per le assenze, perché da sempre manifesta il pregio di tentare il meglio con quello che resta. Di sicuro, tra sé e l’imbattibilità, tra sé e le ingarbugliate faccende del titolo d’inverno, non si ritroverà solo Baroni, quello che senza dare mai nell’occhio ha prima salvato il Verona in liquidazione totale e ora sta rimontando pezzo per pezzo una signora Lazio. Basterebbe Baroni a complicare la serata, ma su quella panchina il tecnico della Lazio non sarà solo. Dovrà stringersi, dovrà fare spazio: assieme a lui, lì sarà seduto Inzaghi, ci sarà Conte, con loro un tifo oceanico che la Lazio da sola nemmeno si sogna. Ci sarà l’Italia dei poteri forti, dei blasonati, dei pezzi grossi, l’Italia abituata a dettare la linea e a spartirsi i trofei, questa Italia inevitabilmente sempre più seccata dall’invadenza spregiudicata, ai limiti dell’insolenza, della provincia senza quarti di nobiltà. Come si fa a giocare con l’Atalanta, disse una volta Andrea Agnelli, quando era Andrea Agnelli. Il solo a dirlo, non il solo a pensarlo. Fatalmente, il Gasp avanza tra gufoni e rosiconi, inutile negarlo: perché una cosa è dirgli bravo, un’altra è lasciargli il posto a capotavola. In certi ambienti, i poveracci ispirano tanta simpatia finché stanno fuori dalla porta. Questa la regola. Ma per i signori del circolino c’è una seccatura supplementare: il Gasp è spudorato, non c’è niente di meglio per farlo sentire a suo agio.


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