L’ovvio dei popoli

Leggi il commento sugli errori arbitrali di Inter-Napoli e sulle proteste del tecnico azzurro Conte
Massimiliano Gallo
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Rigore leggero ma non inventato. Così, in perfetto politichese, Antonio Damato, responsabile del settore tecnico arbitrale, ha definito a Open Var (su Dazn) il penalty assegnato da Mariani all’Inter domenica sera. Rigore che per il quieto vivere di tutti Calhanoglu ha pensato bene di calciare sul palo. Non vogliamo neanche immaginare cosa sarebbe accaduto se l’Inter avesse vinto grazie a quella decisione. Decisione che ha provocato la reazione di Conte. L’allenatore del Napoli si è reso protagonista di un intervento che è già diventato un cult. Il suo "ma che significa?" sta rimbalzando da una chat whatsapp a una pagina Facebook. Anche perché il tecnico ha rubato le parole a tanti appassionati di calcio che faticano ad adeguarsi alla nuova burocrazia del pallone che oggi va sotto il nome di Protocollo Var. Domenica sera è stato impossibile trovare un solo ex calciatore che considerasse rigore il contatto tra Anguissa e Dumfries. Non ce l’ha fatta neanche l’interistissimo Bergomi. Il punto è che, secondo il famigerato Protocollo, veramente il Var non sarebbe potuto intervenire. Perché Mariani l’azione l’ha vista, anche da vicino, e ha deciso. Che succede quando un arbitro sbaglia? Una delle risposte è: niente, quando il contatto effettivamente c’è. Non si può fare niente. È un po’ come il paradosso di Achille e la tartaruga, con Achille che non raggiungerà mai la testuggine. La burocrazia, da sempre, porta con sé un discreto tasso di ottusità. È inevitabile. E oggi il calcio si è ridotto a questo. A constatazioni anatomiche. Se il contatto c’è stato o non c’è stato. La ragionevolezza, il buon senso, soprattutto il senso calcistico, non esistono più.

Inter-Napoli e il Var, le parole di Conte un'ovvietà

Diciamo la verità, domenica sera Antonio Conte ha detto un’ovvietà. Ha parlato del Var come uno strumento di giustizia, il cui compito sarebbe di aiutare gli arbitri a evitare figuracce (lo ha detto con un linguaggio più colorito). Proteggere gli arbitri nel senso di proteggere il calcio. Altrimenti che senso ha? Per un uomo di campo è inconcepibile che un errore debba rimanere lì, impunito, perché la burocrazia impedisce di intervenire. Ma Conte non si è fermato a questo. Ha detto che non si sente più sicuro. E che in questo modo si torna «di nuovo» ai retropensieri. Il «di nuovo» è testuale. È un passaggio che non sottovaluteremmo. Siamo nei dintorni della credibilità. Un grido d’allarme nemmeno tanto velato. Ha aggiunto pure che i suoi sono i dubbi di tanti allenatori. In verità ha detto tutti. Il succo è che Conte l’altra sera ha lanciato un messaggio ai naviganti: occhio che qui non si capisce più niente. Ha individuato perfettamente il vuoto (normativo e logico) in cui la burocrazia si muove e si autoalimenta. Una lacuna che ci costringe ogni settimana ad assistere a decisioni opposte in merito a situazioni simili. Conte ha lanciato l’allarme a novembre. E lo ha fatto nella serata in cui il palo di Calhanoglu ha consentito di non creare danni né ingiustizie. Ma se le sue parole cadranno nel vuoto, temiamo che il clima in Serie A possa diventare presto insostenibile.


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