Anche quest’anno, OpenEconomics ha stimato l’impatto generato sull’economia italiana dalle società sportive della Serie A con l’obiettivo di fornire una rappresentazione veritiera del contributo del comparto del calcio all’economia nazionale. È un’analisi rigorosa e completa che ha lo scopo di contribuire ad alimentare un dibattito informato e costruttivo su uno sport che continua a rappresentare un bene culturale nazionale, nonché un comparto industriale rilevante.
Il punto di partenza è la spesa di 3,5 miliardi di euro generata dai club della Serie A nel 2023, articolata per il 49% in salari e per la restante parte in trasporti, materiale tecnico, consulenze, beni alimentari, ospitalità, tessile e abbigliamento e impiantistica sportiva. Tale spesa, agendo come shock di domanda sull’economia italiana, ha prodotto un impatto sul Valore Aggiunto nazionale di oltre 9 miliardi, pari allo 0,48% del PIL. Ad esso si aggiungono più di 150mila occupati, 2,2 miliardi di gettito fiscale e oltre 8 miliardi di redditi per le famiglie. Tali effetti si manifestano in maniera diretta attraverso la spesa verso i fornitori, in maniera indiretta lungo le filiere a monte industriali coinvolte, e si propagano per induzione agli altri settori economici per effetto della spesa dei redditi di imprese e famiglie nell’economia nazionale.
La situazione
Più nel dettaglio, il PIL diretto generato dalla Serie A è di 2,5 miliardi di euro, quello indiretto è di 720 milioni, mentre quello indotto è di 6 miliardi di euro. I settori maggiormente impattati sono il commercio (1,2 Mld €), il trasporto (1,2 Mld €), le attività immobiliari (1 Mld €) e i servizi alle imprese (656 Mln €). Per quanto riguarda l’occupazione creata, si divide tra i servizi per il 63%, l’industria per il 36% e l’agricoltura per l’1%.
Questi numeri sembrano rappresentare una situazione florida dell’industria calcistica, ma la realtà è diversa. La cronaca quotidiana è caratterizzata da richieste di agevolazioni statali da parte dei club (come il cosiddetto “spalmadebiti” o le esenzioni fiscali per i calciatori esteri), la stagnazione del mercato dei trasferimenti è ai suoi minimi storici, così come l’incapacità della massima divisione calcistica italiana di attrarre talenti di calibro internazionale.
In effetti, se osserviamo i dati del Report Calcio della FIGC vediamo come i club di Serie A registrano prodotti cumulati negativi ogni anno negli ultimi 22. Però, se prima del Covid il valore della produzione cresceva ma i costi si incrementavano più dei ricavi generando passivo e indebitamente, la dinamica post Covid è cambiata. Ora i ricavi sono in flessione (-5% in tre anni) ma i costi calano meno dei ricavi (-1,2%), confermando il saldo negativo strutturale, con l’aggravante, però, del rischio di una pericolosa spirale negativa.
Soluzioni
Nel frattempo, abbiamo assistito allo stravolgimento del paradigma della distribuzione dei contenuti. Secondo i dati più recenti, lo sport in diretta rappresenta circa il 30% di tutto lo streaming delle piattaforme, un cambiamento che ha determinato la polverizzazione del calendario degli incontri, divenuti ormai quotidiani. Il mercato globale dello streaming video sportivo in diretta online - valutato circa 18 miliardi di dollari nel 2020 - si prevede che raggiungerà gli 87 miliardi di dollari entro il 2028. Un modello di parcellizzazione del consumo che mal si concilia con la logica moderna dei mega eventi (come Olimpiadi e Mondiali FIFA).
Allo stesso tempo le nuove generazioni sono irresistibilmente attratte dai videogame che interpretano efficacemente forme di intrattenimento più interattive, veloci e fruibili in mobilità. Secondo uno studio di YouGov, il 54% dei videogamer negli Stati Uniti esprime interesse nel guardare o seguire gli sport. Ciò suggerisce una forte sovrapposizione tra il gaming e il fandom sportivo.
Questo quadro complesso fa sorgere interrogativi sul futuro dell’industria calcistica italiana e sulla necessità di trovare soluzioni strutturali per migliorare le condizioni di salute di un comparto che non è solo una filiera industriale capace di contribuire attivamente alla produzione del PIL nazionale ma anche un bene culturale collettivo che affonda le radici negli ultimi due secoli di storia del nostro Paese.