Mentre il Dl Sport avanza nel suo iter parlamentare passando dalla Camera al Senato, dove si attende l’approvazione finale, si intensifica il confronto tra Lega Serie A e Figc, da tempo in forte contrapposizione. La prima chiede una maggiore rappresentanza negli organi federali che rifletta il superiore contributo economico fornito al calcio italiano. La Figc deve invece tenere conto delle altre componenti da rappresentare, soprattutto le leghe minori, con cui il massimo campionato va per forza in conflitto per la ripartizione dei seggi. È un gioco di quelli definiti “a somma zero” dagli economisti: ogni ampliamento di spazi concesso alla Serie A dovrà essere sottratto alle altre leghe.
Oggi il calcio professionistico (A, B e Lega pro) dispone del 33% dei posti in Consiglio Federale e del 34% dei voti in Assemblea. Allargare il perimetro dei professionisti richiederebbe una modifica statutaria da votare in Assemblea dove, senza un accordo a latere, troverebbe difficilmente il consenso necessario anche perché l’allargamento dei professionisti andrebbe a discapito delle altre componenti (dilettanti, atleti e tecnici). In alternativa, si potrebbe lasciare invariato il peso dei professionisti redistribuendo i pesi tra le leghe - A, B e Lega Pro – ma sacrificando inevitabilmente quest’ultima. In questa difficile equazione, Gravina deve trovare una mediazione che assegni più peso alla A (come auspicato dall’emendamento Mulé) senza mortificare lo sport di base rappresentativo della schiacciante maggioranza numerica dei praticanti. Insomma, la questione è se dare più peso al valore economico o ai numeri del movimento. Tutto è ingigantito da reciproche diffidenze e dal timore che la richiesta della A preluda a uno strappo ancora maggiore. In effetti, la prima versione dell’emendamento Mulé (irricevibile per Uefa e Fifa) conteneva disposizioni che avrebbero svuotato il ruolo degli organismi regolatori.
Le richieste della A sono ritenute eccessive dalla Figc perché il 33% attuale costituisce la rappresentanza più alta riservata ai professionisti negli organismi federali dei grandi paesi europei: in Inghilterra è il 20%, in Germania il 26,7; in Spagna il 16,7; in Francia solo il 7,1. Addirittura, sulle delibere della Premier League la Football Association ha una golden share fatta valere in passato per bloccare proposte ritenute sbilanciate in favore dei grandi club. Nulla di simile esiste da noi, dove la Lega Serie A gode di grande autonomia. La situazione è complessa perché la coperta, come al solito, è corta. La Serie A fa bene ad ambire a maggiore competitività ma il fine a cui tendere dovrebbe essere la crescita complessiva della torta: un obiettivo rispetto al quale le strategie si sono sempre rivelate deficitarie. Scegliere la strada della contrapposizione con le altre componenti del movimento potrebbe provocare una balcanizzazione irreversibile dei rapporti: rischio esacerbato dalle maldestre intromissioni di una politica oscillante tra la volontà di favorire le istanze di alcuni e la tentazione di occupare spazi di visibilità per sé. In una competizione internazionale sempre più serrata, il rischio vero, per tutti, è di finire come i capponi di Renzo.