Allenatori tormentati, panchine tristemente instabili e nobili teste da tagliare. A poco più di un mese dalla fine di un campionato troppo simile al precedente (siamo passati dal dominio incontrastato del Napoli di Spalletti a quello dell’Inter di Inzaghi) il Paese che in momenti diversi è riuscito a dare del bollito, del superato o dell’impreparato a Ranieri, Ancelotti, Mourinho, Allegri, Sarri, Inzaghi e Pioli - non presento il conto dei trofei degli allenatori indicati per non riempire di ridicolo opinionisti ed ex giocatori il più delle volte trombati che, attaccando professionisti meritevoli, si guadagnano un po’ di luce e qualche ingaggio televisivo -; il Paese calcisticamente più avvelenato e irriguardoso, dicevo, pratica spesso con toni barbari il gioco al massacro.
L’aspetto grottesco del gioco è che chi esalta i propalatori del bel calcio non può poi fare a meno del risultato del campo, ne sanno qualcosa Inzaghi e Pioli, a lungo bersagliati per sconfitte peraltro facilmente spiegabili: il passaggio social dall’out all’in dipende infatti da un 1 a 0 o uno 0 a 1, più che dalla qualità dello spettacolo.
La confusione dentro alcune capocce è totale. Per la Juve, ad esempio, vengono richiesti a gran voce Conte e Motta, tecnici che sviluppano temi agli opposti o quasi: il punto d’incontro è l’uscita di Allegri; Conte è dato in corsa anche per la panchina del Napoli insieme a Vincenzo Italiano e allora provate a spiegarmi cos’hanno in comune i due sul piano tattico, della strategia e della didattica.
Per non parlare delle valutazioni che vengono fatte dai censori sulle squadre, sul loro valore e peso. Paragonare la Juve di Allegri a quella di Pirlo - altro esempio - è assurdo, e non per colpa di Andrea che sta imponendosi nel nuovo ruolo e nel ’20-21 poteva disporre di Ronaldo, Chiellini, Bonucci, Cuadrado, Dybala e Morata. Ma cosa vuoi che sia, l’importante è buttare merda su Allegri, da almeno due anni e mezzo al centro di una campagna di diffamazione intollerabile, di pura malafede, poiché alimentata da antipatie personali. Si può ripetere che la Juve gioca male, ci mancherebbe, e che in Champions l’anno scorso ha toppato di brutto. Ma chi non considera il contesto in cui Max lavora dal suo ritorno a Torino e si spinge oltre, accusandolo di ogni nefandezza tecnica, ha qualcosa fuori posto.
Di Mourinho (ma anche di Sarri) potrei parlare per ore specie in un momento in cui la Roma allenata da De Rossi sta facendo non bene, ma benissimo. Il calcio pratico dello Special ha portato a due finali europee di fila, un’altra l’aveva disputata e vinta con lo United (Euroleague 2017) e una quarta - tutta inglese, 2021 - gli era stata negata dal proprietario del Tottenham al quale, prima dell’atto conclusivo, José non si piegò. Ricordo che esattamente un anno fa la Roma era terza, poi si ruppero Smalling e Dybala e Mou non vide altro che Budapest. Un suo collaboratore tempo fa mi disse che «quando lui arriva ai quarti di una coppa lo vedi cambiare, sente solo la finale».
Sulle pressioni dei tifosi e dei risultati, presidenti che non hanno intenzione di spendere, né idee, ricorrono sistematicamente alla sostituzione dell’allenatore, mossa che azzera qualsiasi programmazione.
Non a caso delle prime dieci squadre in classifica soltanto Inter, Atalanta e Lazio hanno la certezza di conservare anche l’anno prossimo l’attuale guida tecnica. La Lazio perché l’ha appena cambiata, sull’Atalanta attendo ancora un po’ prima di scommettere l’eurino. Le altre sette inseguono sogni o illusioni, dimenticando che prima di tutto vengono i giocatori. Che devono essere molto buoni.
Dice il saggio: Non è la malafede che disgusta. Ce n’è un pezzettino in ognuno di noi. È piuttosto l’impegno che ci mettono certe persone a raggiungere lo stato perfetto della malafede. Quello che viene eretto a norma di comportamento e a sistema di vita.