Di pietre ancora libere ne sono rimaste poche e quelle poche potranno essere scagliate contro Mourinho non appena si conoscerà la sentenza del tribunale del pallone. Ha fatto una cosa che non si deve fare e che il calcio delle vergini, delle mille ipocrisie e delle regole costantemente infrante non può proprio tollerare: ha terrorizzato preventivamente un arbitro, il trentunenne Matteo Marcenaro, e - in più - ha sputtanato un avversario, Mimmo Berardi. In sostanza ha detto ciò che pensa - e pensano altri - prima di una partita e non dopo. Tranquilli, però, se avesse atteso la fine sarebbe stato ugualmente censurato, deferito e squalificato. Perché lui è il rompipalle Mourinho ed è nato recidivo.
Poco importa che Marcenaro abbia diretto serenamente l’incontro col Sassuolo dimostrando di avere un po’ di palle (la Roma ha vinto grazie a un rigore netto, un’espulsione non vista dallo stesso Marcenaro e un clamoroso autogol: zeru condizionamenti). Il nostro calcio non può permettersi il Grillinho parlante: ha accusato il Marce di scarsa stabilità emozionale e deve essere punito con severità. Dura lex, dura minga.
E importa ancora di meno che gli arbitri abbiano usato spesso il termine “emozionale” per sottolineare un aspetto importante del loro lavoro. Così, ad esempio, Fabio Maresca dopo Inter-Roma: «Noi siamo delle persone che, come tutti, vivono delle emozioni. In questi casi la preparazione fisica non è un fattore decisivo, quella l’ho costruita nel corso degli anni. La cosa più importante è la tenuta mentale».
Capitolo Berardi (opzionale): ricordo le critiche mosse da Gasperini a Chiesa e Immobile, da lui considerati dei simulatori, dei cascatori. Le stesse cose ha detto Mourinho di Berardi, precisando peraltro di amarlo sul piano tecnico. Gasperini se la cavò con contestazioni idiote a Firenze, quando Chiesa era ancora in viola, e a Roma, avversaria la Lazio di Ciro. Mourinho si beccherà un altro paio di pietre in tribuna. Per Marcenaro, non per Berardi.
Altri effetti. Domenica il designatore Rocchi spedirà all’Olimpico Rapuano, quarto uomo Maresca. Non sto a tediarvi con l’elenco dei precedenti scabrosi tra i due direttori e Mou: sono stranoti. Riprendo tuttavia una riflessione che Paolo Casarin fece nel corso dell’intervista che pubblicammo poche settimane fa: «Quando Mourinho ricorda quello che ha vinto vuol farti sapere che ha lavorato, bene e tanto. Non fa il buffone e non ha voglia di perder tempo. Non gli puoi dire “stai zitto”, lui ti sovrasta. È un uomo intelligentissimo. Bisogna parlargli con rispetto. E poi ha una dozzina di persone dietro di lui che lo pressano...». Alcune delle quali già spedite anzitempo negli spogliatoi: Nuno Santos, “Lillo” Foti, Michele Salzarulo...
E adesso mi chiedo - espresso questo parere - se potevo risparmiarmelo. Perché a qualcuno potrebbe sembrare una difesa. Un soccorso. Che Mourinho - incolpevolissimo - non merita, né gradisce. Il suo insistente piacere di fare, accusare, polemizzare, ha stravolto e aggiornato un modo di dire: il silenzio dei colpevoli. The silence of the guilty.