Risultatisti e giochisti: è sfida aperta

Inzaghi, Pioli e Garcia oltre a Max. Nel campionato si confrontano filosofie e approcci molto diversi
Xavier Jacobelli
7 min

Il campionato li ha già messi in fila indiana, ma l’ordine è provvisorio e non potrebbe essere altrimenti, considerato che si sono lasciati alle spalle dieci giornate di trentotto e la corsa tricolore è appena incominciata. Eppure, Simone Inzaghi, Massimiliano Allegri, Stefano Pioli e Rudi Garcia sanno bene ciò che vogliono e sanno bene ciò che possono perdere se, alla fine le cose non andranno come sperano. Per tutti, l’obiettivo minimo è il quarto posto, non solo per il bianconero che lo ripete a ogni pié sospinto con fare astuto, come si confà a un esperto del ramo scudetto che, nel gioco delle parti, si ritaglia su misura il ruolo del non favorito, scaricando la palla agli altri tre. Il primo dei quali, invece, non si nasconde. Inzaghi rifugge sia la patente di risultatista sia di giochista e Brera ci perdoni il ricorso ai due orribili neologismi, degenerazioni del linguaggio telesportivo che farebbe inorridire il prestipedatore dell’inarrivabile lessico, giocoliere della parola che maledirebbe chiunque dica o scriva clean sheet. La verità è che Simone, fra Lazio e Inter, in carriera una finale Champions, 3 Coppe Italia, 4 Supercoppe italiane, un secondo, un terzo posto e il primo attualmente detenuto, alla guida della Beneamata ha completato la maturazione professionale. È uno dei migliori. È pragmatico e resiliente anche al fuoco amico (come dimenticare che un anno fa o poco più c’era chi voleva esonerarlo, anche dalle parti di Viale della Liberazione); è consapevole della forza di un organico qualitativamente e quantitativamente superiore rispetto alla concorrenza; ha liquidato il tormentone Lukaku dicendo che se n’è fatto una ragione e la ragione si chiama Thuram che gioca con Lautaro da tre mesi, ma è come se fossero tre anni. I numeri di Inzaghi schiacciano le parole: in nerazzurro 79 vittorie, 20 pareggi, 23 sconfitte, percentuale di vittorie 64,75 e, adesso, miglior attacco (25 gol) e miglior difesa (solo 5 subiti), 7 punti in più rispetto a una stagione fa, per non dire della Champions dove marcia spedito verso la qualificazione agli ottavi.

L'unica cosa che conta per Allegri

Allegri è fuori dalle Coppe e sfrutta la situazione da par suo. Figurarsi se gli importa che il muso sia più corto che lungo (Juve-Lecce 1-0; Milan-Juve 0-1; Juve-Verona 1-0): parafrasando Von Clausewitz, per Max il miglior attacco è la difesa: centesima partita senza subire gol nella sua carriera torinese, quinta di fila in questo torneo, 17 nell’anno solare 2023, solo il Barcellona ha fatto meglio. Si spiegano anche così Il secondo posto, i 7 punti in più, il primato accarezzato nella notte fra sabato e domenica dopo 124 turni, prima che l’Inter se lo riprendesse. Allegri digrigna i denti se gli dicono che, per lui, la prima cosa che conta sia vincere, variazione sul tema del motto bonipertiano: per Allegri, l’unica cosa che conta è la Juve. Se Chiesa e Vlahovic prima o poi tornano a fare Chiesa e Vlahovic, Max si divertirà un sacco. In fondo, chi l’ha detto, se non lui, che i cavalli si giudicano al traguardo? Nel frattempo, in organico conta sette giocatori cresciuti nella Next Gen, sei operativi, visto che Fagioli è squalificato, ma la sostanza non cambia: la seconda squadra è stata un investimento felice.

I problemi di Garcia

Garcia la seconda squadra non ce l’ha, gli bastano i problemi con la prima. Nemmeno la spettacolare rimonta sul Milan ha completamente tacitato il brontolio, ora sordo, ora plateale, ora di nuovo carsico che buona parte di tifoseria e critica non gli ha lesinato sin dall’inizio. D’altra parte, un giorno o l’altro il tecnico francospagnolo spiegherà perché abbia smontato il giocattolo perfetto di Spalleti rimontandolo male e non è soltanto una questione di 7 punti in meno rispetto a un anno fa. Perché i tempi fossero subito inopinatamente Rudi (nomen omen) ci ha messo del suo: il 4-3-3 di Luciano non è un dogma, come Garcia ha tenuto a precisare dopo il Milan, però generano confusione gli schemi a geometria variabile, i giocatori fuori ruolo: vogliamo parlare di Raspadori? Alla buon’ora, dopo essere stato impiegato altrove, è bastato che in assenza di Osimhen fosse impiegato quale punta centrale come il suo pigmalione De Zerbi ha sempre sostenuto e si è visto che cosa sia capace di fare. Anche su punizione. Fin dal primo giorno, suo malgrado, Garcia sa di avere accanto in panchina un convitato di pietra a nome Spalletti. Sa pure quanto inevitabile sia il paragone con il Napoli campione con 16 punti di vantaggio e, per la prima volta nella sua storia, arrivato sino ai quarti di Champions. In una settimana, Rudi ha vinto Verona e a Berlino e ha rimontato il Milan in casa, rinsaldando la sua posizione agli occhi dell’angelo custode. Sommessa considerazione: rimetta la chiesa, cioè il gioco puro dei Campioni al centro del villaggio e uscirà dal guado.

Le attenuanti di Pioli

Dove, inopinatamente si ritrova Pioli, come se i quattro anni in cui ha riportato il Milan all’onor del mondo fossero passati invano. O peggio, non ci fossero mai stati. Non è così. Eppure, se in quattro giorni alzano la voce prima capitan Calabria, poi Giroud, quindi Leao e se in tre partite (Juve, Psg, Napoli) totalizzi un punto, diverse sono le cose che non funzionano. Il Milan ha perso la baldanza delle prime giornate che, sino al derby, l’avevano imposto all’attenzione generale grazie al gioco spumeggiante. Sia chiaro, le attenuanti non mancano a Pioli: gli infortuni a catena; l’astinenza di Giroud protrattasi per 8 partite e interrotta solo al Maradona; la latitanza di Leao, a secco da 9 turni; l’assenza di un’alternativa allo stoico stakanovista francese; la corrente alternata napoletana (primo tempo sontuoso, ripresa di inverso tenore). Nonostante tutto, ci sono ancora tempi e modi per recuperare: 3 sono i punti di distacco dall'Inter, uno solo meno di un anno fa e anche in Champions c’è speranza, purché il 7 novembre si batta il Psg. ìI Milan un gioco ce l’ha perché gliel’ha dato Pioli. Sono i giocatori che devono ritrovarlo.


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