Serie A, se il rimedio è un pannicello

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Serie A, se il rimedio è un pannicello© LAPRESSE
Alessandro Barbano
3 min

I signori delle regole dimostrano di non capire com’è cambiata la fruizione del calcio e adottano, contro i suoi mali, rimedi che sono meri palliativi. L’aumento del recupero rientra in questa categoria. Perché dilata solo formalmente la durata della gara, e induce la squadra in vantaggio, o comunque paga del risultato acquisito, a contro strategie di perdita di tempo. Tra queste l’infortunio simulato, che non è dimostrabile e quindi non è censurabile, e che viene compensato con un recupero sempre inferiore all’interruzione prodotta. Adesso arriva l’ultimo pannicello caldo contro i festeggiamenti dilatori della squadra che segna un gol. Anche in questo caso si tratterà di recuperi solo parziali del tempo perduto, che indurranno i calciatori a indugiare sotto le curve per un tempo ancora maggiore.

Questi rimedi non funzionano perché non sono in grado di invertire la torsione antisportiva che la squadra vincente riesce quasi sempre a imprimere alla gara, con una precisa strategia di frantumazione del gioco negli ultimi quindici minuti. Che rende più difficoltosa la rimonta dell’avversario e, soprattutto, deprime lo spettacolo in una misura intollerabile. Metti due crampi fittizi, tre palle in tribuna, un paio di addormentamenti del portiere nel rinvio e degli esterni nei falli laterali, una protesta costante ma non irritante sulle decisioni dell’arbitro, e l’ultima frazione di gara si può anche giocare per meno di un quarto, pagando al più il prezzo di un cartellino giallo. Con l’effetto di ridurre la contendibilità del risultato e, quindi, la valenza sportiva della gara proprio nella fase in cui dovrebbe crescere il suo climax. Non si esce, con simili rimedi, da un problema che ormai rappresenta per il calcio un ostacolo alla fidelizzazione del pubblico più giovane. Ma il board che sovrintende al regolamento non sembra volerlo comprendere e resta abbarbicato a una autolesionistica conservazione.

La soluzione alla crisi di spettacolarità del calcio si chiama tempo effettivo. Ci piacere ribadirlo ancora un volta alla vigilia di un campionato che rischia di proporci partite formalmente lunghe centodue minuti e giocate poco più della metà. Ma soprattutto con una dinamica che nel finale tende a deprimere la qualità del gioco, anziché esaltarla, finendo per incoraggiare gli atteggiamenti antisportivi. È ora di guardare in faccia la realtà e prendere atto che il tempo del calcio perde terreno rispetto al tempo della vita moderna. Riallinearlo vuol dire fermare le lancette del cronometro ogni volta che lo spettacolo si ferma. Provare per credere


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