Tempo fa Igli Tare disse che questa Lazio era da zona Champions. E Sarri s’incazzò: non gradì il sovraccarico di responsabilità e attese ritenendo, anche giustamente, di non poter competere, in una stagione dopata di impegni, con organici più ricchi, mediatici e completi: Napoli, Inter, Juve, Milan. Si parlò di freddezza tra i due e tutti notammo che in seguito le scelte dell’allenatore interessarono di rado alcuni degli acquisti più recenti del direttore tecnico (Maximiano, Marcos Antonio, ieri primo gol, Pellegrini, Cancellieri). Tempo dopo, oggi, la Lazio è la principale candidata al secondo posto, dietro l’inavvicinabile Napoli. Non sto considerando la Juve, che si aspetta la restituzione dei 15 punti, perché corre il rischio di perderne altri. Chi aveva ragione? E, soprattutto, cos’è la Lazio oggi? Non è una squadra difensivista eppure ha la migliore difesa del campionato. Non è strettamente contropiedista eppure ha alcuni tra i migliori specialisti della ripartenza, dico Zaccagni, Felipe, Immobile (e Pedro e Lazzari). Non dipende più dal suo centravanti unico, poiché i gol che le mancano rispetto alla stagione scorsa sono soltanto nove, poco meno degli undici che mancano a Immobile (che ha saltato per infortunio la metà delle partite). Questo è il vero miracolo di Sarri. In estate non era data tra le prime quattro eppure - con il vantaggio di una gara - ha 8 punti sulla Roma, 9 sul Milan e 10 sull’Inter. Milan e Inter che sono due delle prossime otto avversarie. Entrambe a San Siro. Bella (molto spesso), inattesa e efficace ancorché imperfetta, è questa Lazio piena di equilibri e disarmonie, arricchita dai tocchi magici e sfrontati di Sergej e Luis Alberto, una squadra che Sarri, il più antico tra i moderni, e viceversa, può finalmente plasmare attraverso le ripetizioni sul campo che tanto ama. E che, mi ripeto, nel giro di un anno ha subito ben venticinque gol in meno, una differenza impressionante: 45 contro 20.
E per il battagliero De Laurentiis arrivò il tristissimo giorno della scorta
La scorta assegnata in via prudenziale al presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis, protagonista di una battaglia di princìpi contro certa tifoseria, è una sconfitta del calcio italiano e di un Paese costantemente ricattati e minacciati.
Il nostro exploit nel ranking Uefa lo dobbiamo soltanto ai tecnici
Da ieri il calcio italiano ha tre squadre tra le prime dieci del ranking Uefa, graduatoria che considera i risultati ottenuti nelle ultime cinque stagioni: l’Inter (89 punti) è la new entry, ha raggiunto la Roma al nono posto. Ottava è la Juve ( 98) che divide la posizione con il Barcellona. Primo è il Manchester City (137), che precede Bayern (135), Chelsea (126), Liverpool (123), Real Madrid (115), Psg (112) e Man United (104). Tre fra i migliori dieci eppure siamo il calcio meno in salute tra i top europei : i problemi sono sempre gli stessi, oltretutto gravi. Abbiamo però allenatori che sanno fare con meno risorse degli altri : dobbiamo l’ exploit a Allegri (Pirlo e Sarri), Simone Inzaghi (e Conte) e Mourinho. Spalletti - il suo Napoli è ventesimo - è in grado di aggiungersi nel giro di un paio d’anni; Sarri, con la Lazio oltre il quarantesimo , è tagliato fuori. Sorprende il quinto posto del Real di Ancelotti : se Carlo riuscisse a v incere anche la Copa del Rey, in due stagioni avrebbe portato a casa tutti i trofei possibili: Liga, Champions, Mondiale per club, Supercoppa di Spagna, Supercoppa Uefa e, appunto, Copa del Rey. L’economista Peter Drucker diceva che « la gestione è fare le cose nel modo giusto; la leadership è fare le cose giuste». Ancelotti è entrambe le cose e, innanzitutto, un grande allenatore.