C’è un silenzio assordante attorno alla questione del risparmio energetico e del caro bollette, quello del calcio. Come al solito al mondo del pallone scivola tutto sopra, comprese certe voragini nei bilanci. Le aziende stanno per fare i turni a causa delle bollette monstre, i comuni pensano di spegnere i lampioni un’ora prima e di accenderli un’ora dopo. Anche i parroci, più o meno di campagna, corrono ai ripari, aumentando le candele e scaldando meno le chiese, ricorrendo alle stufe a legna. E le istituzioni calcistiche? Silenzio o quasi. Quanto costano le mille luci e l’impianto di riscaldamento di San Siro o dell’Olimpico una sera d’inverno? Non solo per i club, ma come energia che potrebbe essere dirottata altrove.
Ovviamente quelli messi peggio, come sempre, sono i più poveri. I dilettanti, come certi bar e pizzerie, hanno denunciato la riduzione dell’attività che coinvolgerà soprattutto i ragazzini, le cui famiglie non sono più in grado di pagare le quote annuali. Il presidente della LegaPro, Francesco Ghirelli ha proposto l’abolizione dei posticipi serali e la disputa delle gare al mattino. Per ora siamo alle proposte. E la Lega dei (cosiddetti) grandi? Il presidente della serie A, Lorenzo Casini, aveva annunciato, a inizio settembre, che dalla quinta giornata (cioè dovremmo aver trascorso il terzo weekend con questa regola), sarebbero stati ridotti i tempi di accensione delle luci degli stadi, tetto massimo quattro ore. Inoltre, per le gare dalle 12.30 alle 18, è stato ridotto da 90 minuti a 60 minuti prima della partita il momento di piena accensione necessario per calibrare gli strumenti di supporto arbitrale (VAR e GLT). Meglio che niente. Come sono andate queste prime tre giornate con la nuova norma? Qualcuno ci può dire qualcosa? Perché pare che la faccenda al calcio non interessi, come se le bollette che devono essere pazzesche (se piangono le pizzerie, un club dovrebbe strapparsi i capelli) non lo toccasse. Come se non le pagassero. Chiedo venia, sono solo cattivi pensieri.
Ora, ringraziando Casini e in attesa che ci illumini sui risultati della sua nuova regola, ecco due proposte, per lui e i suoi litigiosi presidenti. Una estrema (che preferisco), in stile Ghirelli: tutti in campo alle 13.30 di domenica. Mi rendo conto che forse è troppo estrema. E poi già conosco l’obiezione: ci sono le televisioni che hanno investito un botto nei diritti, che hanno bisogno della diversificazione degli orari (anche per evitare che nei “device” si presenti la tragica rotellina con la rivolta degli abbonati e l’intervento dei movimenti dei consumatori). L’obiezione potrebbe essere respinta così: cari, tutti stiamo facendo dei sacrifici, tutti siamo colpiti dai rincari energetici, lo vediamo a fine mese. Tutti fanno dei sacrifici e quindi li facciano pure i club e le televisioni. Meglio seconda, meno estrema e più percorribile. Per salvaguardare un minimo di spalmatura si può pensare a un paio di partire alle 12.30, un gruppo alle 14.30 e una alle 16.30. Sabato e domenica, magari con un anticipo il venerdì e un posticipo il lunedì (14.30). Anche i tifosi faranno un sacrificio. Meno elettricità, meno gas per riscaldare gli impianti. Sì, alle 20.45 in “prime time” è un’altra faccenda, ma qui torniamo al punto uno e cioè a quello che tutti dobbiamo mettere in campo per battere questo lungo inverno del nostro tormento. Calcio compreso.