C'è chi può e chi non può. Io può. Per esperienza (questo è il mio sessantunesimo campionato) e con licenza di Angelo Massimino, l’amico mio detto El Rubio per certi trascorsi bonaerensi accusato - a torto - di cercare inutilmente un calciatore italiano di cognome Amalgama. Mentre forse era argentino.
“Io può” immaginare - ripeto - cos’avrà detto venerdì il parón Rocco, nella sua nuvola celestiale, leggendo la formazione con la quale il suo Milan Campione d’Italia ha dato il via al Campionato Italiano: Maignan; Calabria, Kalulu, Tomori, Theo Hernandez; Krunic (83’ Pobega), Bennacer; Messias (71’ Saelemaekers), Brahim Diaz (71’ De Ketelaere), Leao (83’ Origi); Rebic (71’ Giroud). In panchina, Tatarusanu, Mirante, Ballo-Touré, Adli, Bakayoko, Kjaer, Florenzi. Senza sprecare troppo triestin mi basterebbe mettere un “Mona” al posto di ogni nome - tecnico e dirigenti compresi - salvando Davide Calabria, il capitano (fi no a quando?).
“Io può” immaginare anche cos’avrà detto Renato Dall’Ara del suo Bologna con tre soli italiani, e fra i protagonisti esotici Soumaoro (dopo il doppio giallo l’avrebbe ribattezzato con il nome italiano più consono alla bisogna) e Skorupski, lui che quando gli chiesi se era vero che stava acquistando Pizzaballa mi rispose “caro Ciucci, come faccio a comprare uno con un nome così diffi cile ?”.
“Io può” anche immaginare il Comandante Lauro che borbotta - sempre su quella nuvola - con Antonio Scotti di Uccio, già capo della redazione sportiva del suo “Roma”, invitandolo a sfi dare a duello - come fece con Gino Palumbo - Aurelio De Laurentiis per aver portato a Napoli una masnada di stranieri compreso tal Khvicha Kvaratskhelia, georgiano di Tbilisi, sicuramente comunista. Come Stalin. E la Juve che per il nuovo corso linguistico spende pedatori esotici nascondendo - quasi vergognosa - due poveri italianuzzi detti Gatti e Fagioli? Sarebbe piaciuta a Luis Carniglia, questa Signora globalizzata (a lui che chiamava Anastasi, Furino e Castano “Los contadinos”) e galvanizzata dalle prodezze di Di Maria che non è Pedernera ma quasi.
Credo che dovrei indignarmi, amareggiarmi almeno per il mio Giacomino Raspadori di Bentivoglio - nato a due passi dal paesello di Giacomino Bulgarelli, a Portonovo - che costa troppo, povero italiano, rispetto ai ragazzi d’Africa di cui il Napoli deve privarsi un paio di mesi a stagione per i loro Giochi. E gli hanno dato anche del razzista all’Aurelio, i coglioni, dimenticando che insieme ai francesi siamo stati i primi ad accogliere con simpatia e generosità i calciatori neri senza avere implicazioni coloniali.
Teniamoceli cari, i Raspadori, tutti gli italiani che non saranno agli scandalosi Mondiali del Qatar (sentito cos’ha detto Philipp Lam, capitano e bomber della Germania Campione del Mondo 2014? “Non farò parte della delegazione tedesca e non intendo andare in Qatar neppure come tifoso. Preferisco rimanere a casa. I diritti umani devono avere un ruolo più importante nell’assegnazione delle competizioni. Se un paese, che va male in questo settore, ottiene l’assegnazione allora capisci su quali criteri si basava la decisione”).
Teniamoceli cari, quei pochi italianuzzi rimasti: per la ripresa del campionato quando si saranno spenti i fuochi fatui qatariani, gli eroi esotici torneranno a casa spompati, e si chiederà ai nativi di spendere energie per ridare senso al torneo. E per Mancini. Per la Nazionale mortificata dallo strapotere tecnico degli stranieri.
“Io può” perché ho vissuto altre storie. Come quella di Josè Altafini, mundialista brasileiro, che a Piracicaba, sognandolo campione, chiamavano Mazzola. Come Valentino.