La cosa più difficile per noi italiani è guardare in faccia la realtà. La nostra realtà. Anche quella calcistica. L’ennesima conferma giunge dalle parole di Giancarlo Marocchi, opinionista di Sky ed ex centrocampista di Bologna, Juve e Nazionale, undici le presenze - lo segnalo ai più giovani senza alcuna attenzione per il passato che pensano si tratti di un semplice talent.
Su Pogba e Di Maria, questo il giudizio espresso ieri da Ciccio a Leo Iannacci: «È un super, nulla da dire. Però ho una bella curiosità: quale Pogba vedremo nella nuova Juve? Quello di sei anni fa, centrale nel gioco di Allegri, oppure il Paul del Manchester United, appoggiato lì nel mezzo come un giocatore qualunque?». E ora Di Maria: «In quella squadra anomala che è il Paris Saint-Germain l’argentino faceva il dodicesimo. Qui, essendo un talento diversamente bravo, può ballare. Ma arrivando a fine carriera e con il Mondiale in cartellone a metà campionato rischia di ballare una sola estate. La mia seconda curiosità lo riguarda: quale Di Maria sarà?».
Rispondo io: sono due che “risolveranno” problemi e partite, poiché hanno la qualità e l’esperienza che mancano alla maggioranza dei protagonisti del nostro campionato: il livello della serie A è infatti testimoniato dalle prodezze di Ibrahimovic, 41 anni a otto- bre, fin che sta in piedi; dell’ex riserva del Chelsea Giroud, 36 a settembre, centravanti dello scudetto; di Chiellini, 37, per anni miglior marcatore del campionato ora emigrato in California, e di Ribery, Pandev, Quagliarella, per non parlare di Bonucci, Lukaku, che la diff erenza la fa solo da noi, e del trentaquattrenne Matic, poco impiegato a Manchester, al quale Mourinho si affida per guidare la Roma dal campo.
Non sono un appassionato di over 33/34 stranieri, né di cavalli di ritorno, oltre che delle importazioni da decreto crescita: gradirei maggiormente veder giocare e crescere i giovani italiani che fino a 17 anni moltiplicano promesse e speranze - parola dei loro tecnici - ma quando arrivano a 19, 20 diventano improvvisamente inaffidabili e accessori, soprattutto per le squadre più importanti, le quali, affondando nei debiti, non possono permettersi il rischio di investimenti a medio/lungo termine.
Il grande Eugenio Scalfari, morto ieri, diceva che «ogni Paese ha la classe politica che si merita». Non c’era bisogno di leggere il Report Calcio 2022 della federazione per estendere il pensiero scalfariano alla classe dirigente del pallone. Sono peraltro convinto che, da quando i pre- sidenti hanno ridotto la fi gura del direttore sportivo a cagnolino al guinzaglio dell’agente di riferimento per occuparsi in prima persona della parte tecnica e del mercato, le cose siano sensibilmente peggiorate. Ho nostalgia, lo ammetto, dei vari Regalia, Governato, Beppe Bonetto, Previdi, Previtali.