Comunque vada, sarà un insuccesso: perché, quasi senza che ce ne accorgessimo, il calcio s’è svuotato da solo, ha depositato - sino a prova contraria - la materia grigia sul ciglio della strada e alla mezzanotte d’un 30 giugno qualsiasi ha lasciato che alcune stelle rimanessero malinconicamente a guardare. Se Paulo Dybala e Dries Mertens rientrano nella (comunque) lussuosa categoria dei disoccupati, dev’esserci un problema estetico - non certo etico, ci mancherebbe - e la questione rappresenta la cartina di tornasole del football 3.0 uscito dalla propria comfort zone talentuosa e planato sul ring per mettere in mostra i muscoli: è un mutamento genetico, o terribilmente ideologico, che ha ispirato a questo macrouniverso di starsene distante, poco o tanto non cambia granché, da due uomini che hanno scandito un decennio tra veroniche e vecchi merletti, dei quali evidentemente si può fare a meno.
Incredibile ma vero, l’argentino e lo scugnizzo belga scrutano quell’orizzonte vuoto e aspettano che il destino gli rimbalzi addosso, gioiosamente. In Dybala e Mertens, che volano al di là delle personalissime strabilianti statistiche, c’è la sintesi di una bellezza a cui il calcio ha deciso di guardare dal buco della serratura, rigorosamente rispettoso delle proprie analisi economico-finanziarie, che sono sacrosante e vanno ossequiate, ma pure irriguardoso verso se stesso e quella capacità attrattiva che geniacci del genere possono scatenare con una finta, un tunnel e una volée dell’anima.
Il 30 giugno, una volta, rimaneva il confino dei “reietti” e dei “diseredati” , l’imbocco d’una forma silenziosa di “disperazione” della cosiddetta classe operaia, costretta a invocare attenzione e pure un contrattino da un mondo che cominciava (quasi) a rifiutarla, anagraficamente e però pure tecnicamente.
Stavolta, la storia s’è ribaltata e Dybala (28 anni) e Mertens (lui 35, ma con 148 gol nel Napoli, 13 dei quali nell’anno che gli sta alle spalle) guidano la fila di “nulla facenti” che è nutrita, raccoglie anche altri esemplari fuori dal comune, segna il passaggio del testimone da una filosofia manageriale all’altra, sottrae non esclusivamente energia o fragilità ma le emozioni stesse che in genere sgorgano dove c’è intelligenza e vocazione in abbondanza.
L’ozio nel quale Paulo Dybala e Dries Mertens devono rifugiarsi - chissà sino a quando, perché qualcosa dovrà succedere nel breve termine - è una secchiata d’acqua gelida sulla normalità del calcio, il segnale d’una conversione insospettabile ma anche il termometro di questa nuova stagione che pare assai più arida, un pizzico crudele, senza poesia né carezze ad un pallone.