Finché c’è calcio c’è lagnanza. Si lamenta Maurizio Sarri - non è una novità - perché non riesce a lavorare come vorrebbe con la squadra: l’addestramento, per il gioco del tecnico della Lazio, è quasi tutto. «Difficile capire la situazione quando i calciatori sono sempre in giro per il mondo» ha protestato ieri. «Si allenano più in nazionale che nei club. Non è più il mio calcio, questo, ora è uno show in cui tutti i partecipanti cercano di spremere gli appassionati per fare soldi. Io dopo le soste ho sempre un certo tipo di timore perché arrivano giocatori che si sono allenati e hanno giocato in otto, nove modi diversi. Staccano la spina, seguono altri concetti e non è scontato che riescano a riattaccarla subito nei club».
Tutto vero, non nuovo eppure condivisibile; è altrettanto vero che proprio il calcio-business consente ad allenatori e giocatori di guadagnare cifre un tempo considerate impensabili. Ma questo è un appunto fi n troppo banale e populista. Da anni scriviamo che Fifa e Uefa si sono trasformate in organizzatori compulsivi di eventi, abbandonando il ruolo di regolatori e organi di controllo del sistema. In fondo la pensiamo come Sarri. Curiosa, ancorché non sospetta, è la tempistica del lamento: stavolta, almeno in teoria, il più penalizzato non è Sarri, bensì il suo avversario che ha ricevuto i sudamericani poche ore prima della partita.
Si lamenta anche Commisso - ed è la terza o la quarta volta in meno di due mesi -: critica l’incidenza dei procuratori sui destini dei loro assistiti. Ho simpatia per Rocco e la sua Politik, ma risulta a me, come ad altri, che avrebbe - sì - voluto rinnovare il contratto di Vlahovic in scadenza fra 20 mesi ma anche che la Fiorentina ha rilasciato - non da ieri - dei mandati nel tentativo di cedere l’attaccante con la giusta soddisfazione economica.
La legge Bosman esiste da 26 anni, in un quarto di secolo tutti i club hanno preso calciatori a parametro zero. Se i presidenti vogliono realmente cambiare lo stato delle cose, questa disposizione di legge, devono rivolgersi alle istituzioni. Altra strada non c’è. Per quanto riguarda le commissioni “eccessive”, poi, gli stessi presidenti paganti dovrebbero trovare un accordo globale perché sino a quando alcuni loro colleghi continueranno a elargire decine di milioni agli intermediari, per evitare di pagare il cartellino, l’andazzo non cambierà. Stabiliscano tutti insieme, attraverso le varie leghe e l’Eca, i confi ni da rispettare rigorosamente e in po- chissimo tempo il peso dei procuratori calerà.
E si lamentano Federcalcio e Lega: non hanno gradito - non è la prima volta - il comportamento del sottosegretario con delega allo sport Valentina Vezzali che, a loro dire, avrebbe inviato in ritardo e in forma incompleta la richiesta di “sostegni fiscali” per il calcio. A metà luglio, valutati i disastrosi eff etti della pandemia sui ricavi da stadio (azzerati) e da sponsorizzazione - iniezioni vitali - e registrati i pianti a dirotto dei presidenti di società, Gravina e Dal Pino invocarono la sospensione dei versamenti fi scali e previdenziali della stagione ‘21-22, puntando sulla rateizzazione in cinque anni. Suggerirono inoltre misure finanziare straordinarie con la previsione di strumenti di debito garantiti dallo Stato. Niente da fare: bocciati su tutta la linea. Non dalla Vezzali però - la segnalazione dei collaboratori dell’ex schermitrice -: la proposta di rateizzazione l’ha presentata in tempo (mercoledì sera) ma i tecnici di Palazzo Chigi hanno obiettato che il piano andava oltre termini fissati dal Governo. E quindi ciccia. Altre lacrime.