Qualcuno forse lo racconterà come il colpo di coda di Fonseca. Ma sarà un mero esercizio retorico. Perché il tecnico portoghese è poco più che un testimone distratto del derby vinto dalla Roma. Che invece sta tutto in due registri paralleli. Quello delle appartenenze, che accendono le consuete emozioni della rivalità stracittadina. E quello dello smarrimento esistenziale, che attanaglia i giallorossi e i biancocelesti, in modo diverso ma con la stessa intensità. I due registri fotografano la vertigine che confonde l’animo delle due squadre, alla vigilia di una transizione capace di rimettere in discussione ogni certezza.
La Roma attende Mourinho come un giudizio universale e una redenzione. Ma il Salvatore della patria potrebbe essere uno che non guarda in faccia a nessuno. E nessuno dei giallorossi è certo di rappresentare il nuovo corso. L’incertezza dei laziali però è più radicale. Perché, senza la Champions, si chiude un ciclo. E niente sarà più come prima. Neanche Inzaghi.
Per queste ragioni in campo ci sono ventidue personaggi in cerca d’allenatore, che vagolano tra desideri e rimpianti. L’esito è un derby brutto e incolore, dove avanza chi sbaglia meno. Il caso vuole che la partita regali a tutte e due le squadre la stessa occasione: prima Milinkovic strappa la palla a Ibañez, fugge sulla linea del calcio d’angolo e taglia un rasoterra sul dischetto del rigore per Luis Alberto. Poi è Dzeko che ruba il tempo ad Acerbi, e dalla linea di fondo porge lo stesso assist per Mkhitaryan. Lo spagnolo spara sulle mani di Fuzato, l’armeno appoggia in rete.
Per due terzi di gara è questa l’unica differenza. Poi però la diversa natura delle due incertezze si mostra e chiude i conti con una prodezza di Pedro. È la prova che la Roma guarda al futuro con speranza. L’arrivo di Mourinho avrà l’effetto di una selezione darwiniana a cui non tutti i giallorossi sopravviveranno. Ma ciascuno di loro può coltivare l’obiettivo di essere un prescelto e provarci fino all’ultimo. Il futuro della Lazio è invece pieno d’angoscia. Perché chi resta deve aspettarsi un ridimensionamento, e chi esce sa di non essere sul trampolino.
Il derby è uno spartiacque di una lunga stagione che le due squadre hanno vissuto all’insegna del «vorrei ma non posso», accarezzando il sogno del primato e dovendo poi accettare la subalternità all’egemonia prima juventina, oggi interista. Nessuno ha certezza di ciò che sarà, ma l’arrivo dei Friedkin mostra adesso il suo vero impatto. Perché il contratto di Mourinho è un guanto che Roma lancia ai club del Nord. Ma è anche una sfida per Lotito. Il vestito di outsider con cui il presidente biancoceleste ha stupito, conquistando tre volte la Coppa Italia e altrettante la Supercoppa, rischia di scolorire nella giubba del comprimario. Se non vuole che la Lazio diventi la squadra minore di Roma, deve reinventarle un futuro. La fantasia non gli manca.