Napoli, al Maradona Insigne e Meret salvano Gattuso 

Napoli, al Maradona Insigne e Meret salvano Gattuso © FOTO MOSCA
Alessandro Barbano
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Il Napoli può gioire per la vittoria sulla Juve, per il centesimo gol di Insigne, per l’aggancio alla zona Champions e, più di tutto, per aver salvato la panchina di Rino Gattuso. Ma quante altre volte si dovrebbe disputare questa partitissima per riavere lo stesso risultato? Perché gli azzurri hanno fatto in novanta minuti un solo tiro in porta, quello del rigore decisivo, Meret ha parato l’impossibile, invece Ronaldo e compagni hanno sbagliato tutto ciò che era possibile sbagliare. Ci si può inebriare del miracolo nel sabato miracoloso in cui anche lo Spezia fa al Milan uno scherzo da scudetto, e pensare che questa partita getti la crisi alle spalle, oppure dirsi la verità: il Napoli ha vinto con la Juve come avrebbe potuto vincere il Crotone, segnando un gol dagli undici metri e poi difendendo per tre quarti di gara il vantaggio con la grinta e la diligenza di un’onesta provinciale. 

Ma il Napoli non è una provinciale. Non lo è per dotazione tecnica, per aspettative, per storia. E anche per i quaranta punti che ha già messo nel sacco con una partita in meno, e per i successi contro big come Roma e Atalanta. Successi che, però, nessuna garanzia danno rispetto alla continuità di risultati richiesta per competere ai massimi livelli. Se qualcosa a questa squadra manca, non è una chiarezza tattica, nonostante gli esperimenti di modulo a cui Gattuso è stato fin qui indotto dalle numerose assenze, ma una cifra caratteriale di coraggio. Dopo il vantaggio di Insigne, il Napoli ha privilegiato l’idea di arroccarsi a quella di tentare il raddoppio, secondo una filosofia che è diventata pensiero dominante, abitudine, riflesso condizionato. È andata nel migliore dei modi, la rete difensiva di Rahmani e Maksimovic ha tenuto senza buchi, Meret ha mostrato una volta di più quanto discutibile sia la scelta di preferirgli Ospina. Ma soprattutto il forcing juventino si è rivelato confuso, i guizzi di Ronaldo prevedibili, gli affondi di Morata inconsistenti, la mira di Chiesa imprecisa.

Con i suoi 9 punti in meno di Sarri e i 17 in meno di Allegri, Pirlo dimostra che l’implacabilità bianconera resta per ora una memoria smarrita. Se Ronaldo non risolve nei trenta metri, la Juve non punge. Gli infortuni di Dybala e Ramsey pesano almeno quanto la timidezza a puntare su Kulusevski. E, soprattutto, il centrocampo fa fatica a trovare un assetto: l’assenza di Arthur carica Bentancur di responsabilità alle quali l’uruguaiano non pare pienamente pronto, e l’impiego di McKennie è una garanzia di spinta, non di ordine.

In questa intermittenza di prestazioni, che rischia di far naufragare il tentativo bianconero di rimontare la classifica, si scrive la risorgenza degli azzurri di Gattuso, preziosa per rinsaldare il rapporto tra tecnico e squadra e per restituire fi ducia all’ambiente. Ma insufficiente per credere che il peggio sia passato. Juve e Napoli meritano entrambe più di quanto finora hanno espresso. Ma questa asimmetria tra potenzialità e risultati sta tutta in un’incertezza dell’animo, non dei piedi.


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