La cosa peggiore in tempo di emergenza è che prevalga una logica di emergenza, cioé che l’emergenza si impossessi delle menti, oltre che dei corpi. E c’induca, per esempio, a pensare che i problemi che il calcio lascia aperti non esistano, o non abbiano alcuna dignità, di fronte alla gravità delle cose che ci stanno attorno. Quando questo paradigma s’imponesse, l’emergenza avrebbe vinto sul nostro diritto di difendere una vita piena. Per questo ha fatto bene la Figc a discutere ieri dello scudetto e dei modi per assegnarlo. Rimettendo la rivalità sportiva sul tavolo, ha ricordato a tutti che ci si ferma oggi per ripartire domani. Ma soprattutto ha mandato un messaggio chiaro all’Uefa, che di fronte all’epidemia del Coronavirus ha fatto fin qui finta di non vedere e di non sapere.
Senonché, delle quattro ipotesi che il calcio italiano ha preso in considerazione ieri, due sono figlie dell’emergenza. E per questo vanno respinte al mittente con tutta la convinzione possibile e, lasciatecelo dire, anche con un pizzico di indignazione. Perché rinunciare ad assegnare lo scudetto o assegnarlo sulla base della classifica attuale, cristallizzata dall’interruzione del campionato, significa rinunciare alla pur stretta agibilità che la gravità della crisi concede e arrendersi alla paura. La prima a rifiutare una simile soluzione dovrebbe essere proprio la Juve, che gli scudetti ha fin qui dimostrato di saperli vincere sul campo.
Restano altre due ipotesi in gioco. Ed è giusto che la prima da prendere in considerazione sia quella che ci riporta alla normalità perduta: disputare per intero quel che resta del campionato, prolungandolo fino alla fine di maggio per recuperare le gare rinviate. Magari chiedendo all’Uefa di spostare gli Europei in avanti di una settimana. L’Italia potrebbe contare sull’alleanza di altri paesi, dove il virus è appena arrivato o sta per arrivare. Ma è una soluzione su cui pesa una variabile che il calcio non può governare: se da noi l’epidemia dovesse allungare la sua morsa oltre il tempo di questa violenta fiammata iniziale, il governo potrebbe interdire le gare oltre il limite del 3 aprile. Concludere il campionato sarebbe un’impresa impossibile.
Se lo stop dovesse prolungarsi, non resterebbe perciò che la quarta ipotesi: disputare i playoff tra le prime quattro squadre in classifica, le uniche che, con probabilità diverse e nel caso dell’Atalanta minime, possono tuttavia considerarsi in corsa per il titolo. Gravina ha tirato fuori questa proposta, perché la coltiva da tempo come la soluzione per riaccendere un torneo che per otto anni ha avuto un solo padrone. Il caso vuole che sia attuale di fronte a un campionato tornato contendibile. La facciamo nostra, perché ha il profumo del sogno e abbiamo tanto bisogno di tornare a sognare. Ma anche perché è l’idea più flessibile di fronte agli incerti dei tempi. Niente impedisce di spezzare il campionato in tre tronconi, per giocarsi a eliminazione diretta lo scudetto, la permanenza in A e, magari, anche la qualificazione in Europa League. Si può fare in due-tre settimane. Sarebbe il modo migliore per riaccendere i motori del calcio prima degli Europei e per riprenderci una parte di quella normalità che l’emergenza ci ha rubato.