Lo chiamavano il Piccolo Diavolo. Perché era piccolo, almeno sembrava in mezzo ai titani fumanti della difesa, e perché compariva all’improvviso per strapparti l’anima. Ad Antoine Griezmann andava persino bene come soprannome: tutto fa grana nello showbiz - non diteci che il calcio non ne fa parte - e l’importante è possedere un segno di distinzione. Un soprannome evocativo, per esempio, è perfetto. Del suo, Griezmann ci ha messo 234 gol tra Real Sociedad, Atletico Madrid e Barcellona, altri 42 nella Nazionale francese, i titoli di capocannoniere e miglior giocatore dell’Europeo 2016, la legna e le tre reti portate alla vittoria nel Mondiale 2018. Poi il mondo è cambiato e la Francia anche. Il piccolo diavolo è diventato un angelo custode. Probabilmente gli mancherà contare i gol e sentirà nostalgia delle temperature elevate dell’area di rigore, ma il nuovo ruolo sembra adatto a uno che si è tatuato sulle braccia il volto di Gesù, crocifissi e altri simboli religiosi. Griezmann ha fama di essere un’anima pia e quando il ct Didier Deschamps gli ha proposto di formare una ristretta società di mutuo soccorso si è sentito gratificato. E anche salvo.
Lo statuto del sodalizio è ridotto all’osso: Deschamps mette in formazione Griezmann e Griezmann copre le spalle a Mbappé, al resto delle avanguardie francesi dalle armature scintillanti e allo stesso Deschamps, che esattamente come quando giocava vince trofei, oscura leggende e sembra lo faccia per caso, con quel sorriso distratto alla Cristoph Waltz. In Nazionale, Antoine non segna da più di un anno (il Var è stato cinico nei suoi confronti davanti alla Tunisia). In compenso fa tutto il resto: trequartista, più spesso mezzala, uomo di raccordo, rinforzo per la difesa. L’alternativa sarebbe stata scomparire. Perché il mondo e la Francia sono cambiati e là dove c’era un piccolo diavolo adesso ce ne sono tanti, troppo grossi: Mbappé, Giroud, Dembélé, Coman, adesso pure Marcus Thuram, in altre occasioni Benzema.
La Francia è un orto in eterna primavera. Fare un passo indietro, a trent’anni, è l’unico modo di continuare a giocare. Spargendo sale tra i talenti altrettanto floridi ma disordinati di Rabiot, Tchouaméni, Fofana, Camavinga. Griezmann sa che cosa significhi restare fuori. Lo ha scoperto da giovane, quando lo consideravano troppo esile per inserirlo nei provini e il padre ha dovuto mettere sul tavolo la sua reputazione di maggiorente locale per convincere le giovanili del Macon a concedergli una possibilità. Lo ha riscoperto di recente quando all’Atletico Madrid gli centellinavano i minuti per risparmiare sul riscatto da versare al Barcellona. Deschamps a sua volta è un ct in scadenza sin da quando ha preso il posto di Blanc. Però sono dieci anni che è lì e ha fatto invecchiare Zidane nell’attesa. Sa scegliere gli uomini giusti e i posti giusti, e metterli insieme. Cancellata la Polonia dagli ottavi di questo Mondiale, ha raggiunto Griezmann e lo ha abbracciato, come per dirgli: guarda, tutto questo un giorno è stato tuo e lo è ancora. Due uomini che hanno bisogno l’uno dell’altro, su un pianeta in cui esistono i titani.