Senza l’Italia, non c’è partita: c’è il richiamo della memoria, c’è un’idea romantica ch’è rimasta nella pelle, c’è quella memoria che, viaggiando, nostalgicamente e teneramente trascina a Maradona. Benvenuti a Napoli, (calcisticamente e per questo Mondiale) enclave Argentina, una città sospesa nel ricordo di un’epoca che l’ha segnata per sempre, avvinghiandola eternamente al suo Dio. L’Argentina è Maradona, con rispetto per chiunque, è la riconoscenza per chi mandò in frantumi un tabù e (ri)scrisse la storia a modo suo: e Napoli, che è di Maradona - lo è stata e tale rimarrà - tifa per quella terra lontana, persino sconosciuta, a cui evidentemente somiglia «terribilmente», tanto da stordire il pocho Lavezzi, nel momento in cui stava atterrando. «Mentre mi avvicinavo, in aereo, mi sembrava di vedere Buenos Aires». Napoli tifa Argentina per affinità elettive o anche no, ma lo fa «eticamente», storicamente, quasi religiosamente, perché Maradona le ha aperto le porte della felicità, l’ha trascinata con quella sua «brutale» gioiosità nel mondo degli eletti, ha offerto il suo estro inimitabile a chi l’ha vissuto e a chi se l’è sentito raccontare, e pazienza se adesso ostinatamente si resti avvolti in una nuvola sulla sua eredità, su chi sia stato il più grande di sempre, se Diego o se Messi, se il figlio più che legittimo abbia affiancato o persino oscurato il padre. Napoli-Argentina è una mozione d’affetto, con dedica.