La coccola, la accarezza, la culla. E’ la sua bambina appena nata, dopo un parto durato cinque Mondiali e 16 anni di tentativi senza gioia. Ora può chiamarla come vuole questa Coppa, Leo, perché è davvero tra le sue mani sicure. L’emiro Al Thani, suo datore di lavoro al Psg, ha assistito allo spot perfetto dei suoi assi, manco avesse disegnato il torneo a sua immagine e somiglianza, ed è così felice da sistemare sulle spalle del vincitore un mantello da sceicco. Messi si gira, lo accoglie e allarga un sorriso enorme, vero, nei minuti che aspettava da sempre insieme a tutto il popolo argentino.
Siamo pari?
Sono cinquantamila a Doha, sono milioni per le strade. Nessuno si chiede nemmeno più se Messi sia meglio di Maradona perché il trionfo, sofferto e melodrammatico come piace a loro, è un filo impercettibile che scorre dal 1986, quando Diego vinceva in Messico e Leo non era ancora arrivato (per pochi mesi) su questo pianeta. A Messi non scappa una lacrima, o se sì la nasconde bene. In questa serata qatarina ha solo voglia di ridere e condividere. Presta la Coppa anche al Kun Aguero, che non ha avuto la sua stessa fortuna ma in questo mese è stato un consulente discreto e prezioso. I due hanno dormito nella stessa stanza la notte prima della finale contro la Francia. E magari da un punto di vista psicologico è stato un dettaglio decisivo per il Re, eletto ovviamente miglior giocatore del torneo: con le due reti della finale ha raggiunto quota 7 gol, dietro al solo Mbappé che è stato un fantastico avversario. Se i due impareranno a coesistere nel Psg, magari con il terzo diamante Neymar, chi potrà fermare gli emiri del Qatar anche in Champions League?
Intimidad
A un certo punto, quando la festa ha vissuto un momento di pausa, Messi ha fatto entrare in campo anche la famiglia. La compagna Antonella e i figli veri, Thiago, Mateo e Ciro, innamorati a prima vista della sorellina Coppa. Non aspettavano altro che lei per arredare il villone di Parigi. Thiago, che ha 10 anni, aveva scritto prima della partita il testo integrale della canzone Muchachos, l’inno propiziatorio del Mondiale argentino. Ed era lui il principale interlocutore di Messi nei mesi che hanno preceduto la trasferta in Qatar: «Insieme ad Antonella, è la persona che mi mette più ansia» ha rivelato teneramente Leo. Beh, l’ansia è stata spazzata via da una serata leggendaria. E ora sono tutti insieme con la maglia numero 10, tutti emozionati per l’incredibile traguardo, tutti campioni del mondo.
Leader
Ma la paura era già finita prima. Se Messi un tempo vomitava per la tensione, non sapendo gestire il ruolo obbligato del genio di una Nazionale incompiuta, in questo Mondiale è stato il trascinatore tecnico ed emotivo della squadra. Non era mai stato così forte e decisivo con la Selecciòn. Ha concesso reti pesanti, assist fantascientifici, come e più del solito. Ma in più ha acceso i compagni e preteso rispetto dagli avversari: ne sanno qualcosa gli olandesi. La novità assoluta è stata la determinazione ragionata al servizio della squadra. Messi ha aspettato l’ultimo match point prima di giocare lo smash e lo ha fatto consapevolmente, perché già prima di volare a Doha aveva annunciato che non ci sarebbero state oltre occasioni: «E proprio per questo, oltre a voler vincere il mio primo titolo, voglio godermi ogni singolo istante di questo Mondiale».
Cavalcata
E’ stato di parola, anche dopo la bizzarra sconfitta contro l’Arabia Saudita che aveva suscitato il sarcasmo. I brasiliani cantavano negli stadi «Bella ciao» utilizzando la parola Messi. Leo non ha fatto una piega e ha detto subito alla squadra: non c’è problema, vinciamo tutte le altre. Ha risolto il primo problema scardinando il catenaccio del Messico, con una stilettata improvvisa. Il resto è venuto quasi di conseguenza nonostante un rigore sbagliato, le trepidazioni di due partite finite alla ruota della fortuna e qualche episodio favorevole: le parate del Dibu Martinez, dall’Australia in poi, hanno custodito il tesoro che il Dieci aveva scoperto. La verità è che il destino si stava accorgendo che Messi meritasse una chiusura da vincitore: da molti giorni il cielo di Doha, con le prime nuvole dell’autunno, si stava colorando di albiceleste. Forse era Diego a sbandierare, da lassù.