Aveva pensato di fare il pugile, Nicolas Otamendi, “el general”, come viene chiamato dai compagni nel ritiro dell’Argentina. Si allenava da ragazzo in una palestra di El Talar, provincia di Buenos Aires, dove nessuno dimentica i trionfi e i demoni di Carlos Monzon. Il sito del canale TyC Sports ha recuperato una foto di quel periodo, mentre si muove sul ring con i guantoni azzurri e senza caschetto. Poi, “el general”, è stato rapito dal fútbol e da un’idea, quasi un’ossessione: provare a diventare il terzo leader della difesa a vincere un Mondiale con la Seleccion. Gli manca una partita, la finale contro la Francia, per entrare nel museo dell’Albiceleste dopo Daniel Passarella, “el caudillo”, campione con Menotti e Kempes nel 1978, durante la dittatura di Videla, e Oscar Ruggeri, “el cabezon”, che alzò la coppa in Messico nel 1986, con Maradona e Bilardo. Otamendi è la riscoperta degli stopper in un calcio dominato dalla costruzione da dietro.
Marcare i centravanti: la sua risposta alla moda. È rimasto il muchacho di El Talar, quello che correva nel centro sportivo del Club Barrionuevo di San Fernando, in attesa di firmare con il Velez e di volare in Europa, dove ha vinto diciassette trofei con il Porto e il Manchester City. I genitori abitano sempre nel vecchio quartiere, distretto di Tigre, un’ora di treno da Buenos Aires. La loro casa, in questi giorni, è un cinema: il papà José, la mamma Silvia, i fratelli Claudio (tesoriere in un casinò), Cristian (meccanico) e Gabriel (camionista), parenti e amici. Tutti gli chiedono di risalire domenica sera sull’Airbus 330-200 di Aerolineas Argentinas da campione. Otamendi rappresenta per Scaloni quello che sono stati Passarella per Menotti e Ruggeri per Bilardo: ha in tasca le chiavi del reparto. In nazionale lavora anche con Walter Samuel, collaboratore del ct. Nell’estate del 2021 ha vinto la Coppa America e da martedì notte ha cominciato un altro conto alla rovescia per regalare al suo popolo il terzo Mondiale, dopo le finali perse dalla Seleccion nel 1990 e nel 2014 contro la Germania.
Ha la forza di unire, Otamendi, trentacinque anni il 12 febbraio. Ping pong e musica in ritiro per aiutare i più giovani. Il suo migliore amico è Rodrigo De Paul. Si sono conosciuti a Valencia, sui social postano le foto delle loro grigliate: l’ex gioiello dell’Udinese è il padrino di Valentin, uno dei tre figli (con Morena e Mia) di Nicolas e della moglie Celeste Rey. Otamendi ha saputo lasciare in ogni club lo stesso ricordo: serietà, rispetto per la maglia, carisma. Tante missioni: Velez, Porto, Atletico Mineiro, Valencia, Manchester City e Benfica. A Lisbona è arrivato nel 2020, ha eliminato la Juve nell’ultima fase a gironi di Champions. Il contratto scade a giugno e il presidente del River Plate, Jorge Pablo Brito, spinge per portarlo al Monumental. Il futuro, però, è un cassetto chiuso. Ogni ragionamento ruota intorno a Mbappé. Con il cuore ha fatto una promessa alla sua famiglia e a Diego Maradona, il ct che lo convocò per il Mondiale del 2010 in Sudafrica. Ora può mantenerla.