Spagna, troppo possesso fa male

Spagna, troppo possesso fa male
Ivan Zazzaroni
4 min

Las imágenes de la cruel matanza del tikitaka 3.0 giungono in continuazione da Doha dove con il 23 per cento di possesso palla (un punto più dell’Iva) il Marocco ha tenuto testa per oltre due ore alla Spagna, soffrendo pochissimo, prima di risolverla ai rigori. Il calcio vissuto in orizzontale in orizzontale è finito: per un istante ho pensato a cosa sarebbe successo se l’Italia fosse stata cacciata dagli ottavi nello stesso modo. Un pensiero innocente e amaro, da assente inconsolabile. Non sono bastati Gavi, Pedri, Ferran Torres, Dani Olmo, Carlos Soler, Ansu Fati, e Alejandro Balde, ovvero il meglio della Nueva Generaciòn, per battere gli scafatissimi Hakimi, Mazraoui, Amrabat, Ziyech e Boufal, espressioni di una nazionale tecnicamente inferiore, ma che difensivamente si è evoluta come han fatto quasi tutte quelle viste in Qatar. Escluso il Qatar. La qualità generale si è notevolmente e progressivamente abbassata rispetto ai primi anni Duemila, sono però aumentate le informazioni. Oggi tutti sanno piazzare due pullman davanti alla loro porta, e rispettare le distanze e le linee, soltanto chi ha la fortuna o il merito di possedere campioni in grado di inventare qualcosa dal nulla (Messi) sfondare più facilmente le protezioni. «La mia ossessione è il gioco» aveva chiarito Luis Enrique alla vigilia, «il risultato mi preoccupa zero. Il calcio non è uno sport giusto, ma normalmente se giochi meglio vinci. È come uno spettacolo, devi dare agli spettatori un piacere». Un immenso piacere lo stanno provando a Rabat dove nessuno - ripeto, nessuno - si è permesso di muovere appunti al muro di Walid Regragui, ex difensore di Tolosa, Ajaccio e Digione. Mentre in Spagna stanno toccando punte eccessive, addirittura intollerabili, le critiche a Luis Enrique, al gioco preferibile e preferito al risultato. Al leggendario Richard Burton, grande appassionato di rugby, hanno attribuito questa frase sullo sport più amato: «Uno spettacolo magnifico: balletto, opera e all’improvviso il sangue di un delitto». La matanza, appunto. Vittima, l’autore del balletto. Nei quarti (cinque europee, due sudamericane e un’africana) il Marocco affronterà il Portogallo deronaldizzato da Fernando Santos: quando a segnare una tripletta è il tuo sostituto, in questo caso Gonçalo Ramos del Benfica, il segnale non è dei più simpatici. Ma quando uno lo realizza un quasi quarantenne, l’immortale Pepe, la speranza improvvisamente si riaccende. Resto convinto che Cristiano possa ancora ritrovarsi protagonista: il suo Mondiale prosegue. Nel modo che non avrebbe voluto, ma prosegue. E il suo finale è ancora da scrivere. A proposito, non sono 500, come riporta Marca e il mondo subito rilancia. Né 200, come abbiamo più volte segnalato (quella era un’offerta pre-United). I milioni arabi per Cristiano sono molti di meno e comunque prevedono che il campione conceda i diritti d’immagine. E non sono quasi 38, secondo lo stesso Cristiano, gli anni che si porta addosso. Ma venti: pensa ancora di poter convincere un top club europeo. Lo pensa, ci spera e qualcuno a lui vicino - che non è Jorge Mendes - alimenta le illusioni. Ronaldo sembra un po’ fuori dal tempo e, secondo alcuni, distante dalla realtà: sempre molto dentro se stesso. Un fuoriclasse dalle radici pesanti in un sistema tutto velocità e superficialità. PS. L’ingresso al 73’ sul 5-1 per sostituire proprio il triplettista, un’umiliazione evitabile. Per la serie: Cris, stai punito.


© RIPRODUZIONE RISERVATA