Il calcio senza centravanti è bello, ma chissà perché poi, quando stai con l’acqua alla gola, al centravanti vai. E il centravanti ti salva. Vale per Morata, che dà concretezza a una Spagna creativa ma fino a quel momento incapace di pungere. E vale per Füllkrug, che aggiunge al disperato forcing finale dei tedeschi la forza di sfondamento che mancava, e poi sfonda di suo la porta avversaria con un bolide dalla stessa posizione in cui il talentuoso, versatile e intuitivo Musiala pochi minuti prima aveva calciato addosso al portiere. L’attaccante del Werder Brema è il salvatore della patria e forse anche della panchina di Flick, che non a caso dopo il gol lo abbraccia con affetto paterno. Ed è a suo modo l’eroe per caso di questa serata di speranza, portato in nazionale dai dieci gol segnati nelle ultime quattordici partite in Bundesliga, ma con tre sole presenze in nazionale alle spalle e un destino da panchinaro se il 4-2-3-1, con Müller attaccante civetta, avesse funzionato. Invece lo spettro di un’eliminazione fa scattare nel tecnico tedesco quella che si direbbe una resipiscenza conservativa, cioè un ritorno all’ortodossia del centravanti di ruolo.
La Germania resta in gioco, anche se non brilla e, soprattutto a centrocampo, mostra limiti di palleggio, di velocità e di vivacità. Musiala, che pure si batte come un leone e fa la differenza con i compagni, non basta da solo a dare al gioco quello scatto in più che serve per stare alla pari con le big del Mondiale: Spagna, Francia e Brasile per quello che si è visto finora, con l’Argentina in recupero ma ancora un gradino sotto.
Spagna-Germania porta i giovani sul tetto del mondo. Perché se il diciannovenne Musiala è il migliore della nazionale di Flick, il ventenne Pedri è già il leader di quella di Luis Enrique. Lo spagnolo ha il controllo del possesso palla che ricorda la maestria del grande Xavi, l’intuitività del regista avanzato e un’essenzialità che gli consente di fare sempre la cosa migliore senza strafare. È un ragazzo e sembra un veterano. Ma il merito è di tecnici e società che scommettono sugli adolescenti, consentendogli di fare esperienze nazionali e internazionali e di trovarsi dopo tre o quattro anni di campionato e Coppe con un numero di presenze che in Italia i loro coetanei non vedranno neanche con il binocolo.
Pedri e il suo fratello minore Gavi, due anni di meno, sono gli eredi del tiki-taka: hanno il codice del palleggio supremo con le varianti del calcio verticale, che ne rappresentano in qualche modo l’evoluzione. Crescere sulla mediana da lati opposti, avendo in mezzo un maestro come Busquets, è un privilegio che nessuna scuola di formazione oggi è in grado di garantire. E i due talenti blaugrana la sfruttano con profitto. La loro felice iniziazione, peraltro da tempo giunta a compimento, fa da contraltare alla solitudine virtuosa del loro coetano tedesco, Musiala, che in nazionale non trova sponde adeguate alla sua inesauribile energia.
In questo sapiente dosaggio di talenti e decani, la Spagna si conferma la nazionale che meglio ha gestito la fine di un ciclo con un rinnovamento in grado di innestare le nuove forze e i nuovi schemi nel patrimonio di esperienze e di valori che ha fatto un decennio di dominio assoluto. Al Mondiale niente è dato per scontato in un girone di qualificazione, neanche dopo sette gol al Costa Rica e un pareggio autorevole contro una Germania disperata. Però il lavoro di Luis Enrique c’è tutto e si vede: la sua Spagna mi pare la squadra più creativa e insieme più solida vista fin qui, pur senza avere Mbappè, Messi o Neymar. Staremo a vedere se, alla fine dei giochi, la qualità organizzativa avrà la meglio sulle magie dei singoli.