Messi e Mbappé sono l’espressione di un passaggio generazionale: l’orologio elettronico che illumina il lungomare di Doha racconta anche il countdown tra presente e futuro. In Qatar è il loro giorno: Leo deve dimostrare che è solo una bugia la storia legata ai suoi letarghi in nazionale, mentre Kylian vuole fare il padrone per il secondo Mondiale di fila, capolavoro riuscito a Meazza e a Pelé, mai a Zidane. Ogni benedetta mattina, da quando viveva in una piccola camera nella foresteria del Barcellona, Messi ha imparato a convivere con l’immensità di Maradona, l’amore eterno dell’Argentina, che gli ha dedicato un murale di dodici piani sulla facciata di un palazzo a Constitución , quartiere di Buenos Aires: luogo di culto e preghiera. Sfidare il mito, il campione irripetibile, fa parte del destino di Leo, capace di viaggiare spesso oltre la fantasia della playstation, ma sentendosi sempre coperto dall’ombra di Diego. Un metro di paragone che ha accompagnato il suo percorso, arrivato all’ultimo giro di carte in Qatar: quinto tentativo di vincere il Mondiale, una sentenza senza cassazione per la sua età, trentacinque anni. Adesso o mai più. Mbappé, invece, ha già portato quella Coppa nel museo di casa, riuscendo a diventare per tanti francesi prima il manifesto di un riscatto sociale e morale delle banlieue, periferie dimenticate dalla politica, e poi un campione in grado di reggere il confronto con Zidane e di superare Platini, che ha chiuso il suo conto con un Europeo ma senza la gioia di un Mondiale da imperatore. Nessuno guadagna quanto Kylian: 216 milioni, come ha scritto Le Parisien.
Messi e Mbappé sono pronti a riempire di significati il terzo giorno del Mondiale in Qatar, dopo la copertina che si sono meritati ieri la new generation dell’Inghilterra (da Bellingham a Saka ) e Timothy Weah , ventidue anni, figlio dell’ex milanista George e gioiello degli Stati Uniti. Amici nel Paris Saint Germain, Leo e Kylian, sempre lontani dalle gelosie. E rivali, forse, nel cammino di questa avventura a Doha. Rappresentano lo spot perfetto dello sceicco, del suo calcio che non conosce divieti e fair-play finanziario: la forza dei soldi che sposta ogni confine, sbriciolando ostacoli e regole. Eppure non sono ancora riusciti, nel Psg, a conquistare la Champions, il quadro di Picasso che manca nel salone dell’emiro. Una Coppa che Leo ha vinto per quattro volte nel Barcellona: una con Rijkaard, due con Guardiola e l’ultima con Luis Enrique.
La “pulga” si presenta in Qatar con un ct, Scaloni, che agli argentini ricorda Bilardo, perché è un figlio dell’Afa, della federazione. Trentasei partite senza sconfitte e la Coppa America conquistata nel 2021 battendo il Brasile di Neymar, terzo anello del Psg delle meraviglie, entrato a volte in contrasto con Mbappé, a differenza di Messi. Tanti intrecci, che però non distraggono Leo dall’unica missione. Ha segnato 91 gol con la Seleccion, ma ha lasciato il suo nome solo sulla Coppa America. E il Mondiale in Qatar è il suo ultimo tango: “Voglio godemerlo fino in fondo”. Schiacciando il timore di lasciare un’opera a metà, perché è un morso il ricordo della delusione vissuta nel 2014 in Brasile, quando uscì dal Maracanà come un pulcino bagnato, mentre la Germania faceva baldoria, grazie alla magia di Mario Götze nei supplementari, a otto minuti dai calci di rigore.
Caratteri opposti, quelli di Messi e Maradona: il mare calmo di Leo e le onde anomale di Diego. Per questa ragione tanti argentini sospettano che in nazionale, con la maglia dell’Albiceleste, alla “pulga” sia mancato quel fattore che rende speciale un fuoriclasse: il carisma, la capacità di moltiplicare le energie dei compagni, come aveva saputo fare Maradona nel 1986 in Messico con Burruchaga e Batista, Ruggeri e Brown, Cuciuffo e Olarticoechea. Perché all’Azteca, nella squadra di Bilardo, l’unico altro asso era Valdano. Colazione con Messi e cena con Mbappé, che battezza il suo Mondiale scrutando uno scenario complesso: è cosciente che la Francia si ritrovi davanti a tante incognite dopo gli infortuni di Pogba, Kanté, Benzema e Maignan. Ripetersi è un esercizio da formidabili equilibristi. Come ha capito anche il ct Deschamps, che deve raggiungere almeno la semifinale per ottenere il rinnovo del contratto, in scadenza il 31 dicembre: chiaro il messaggio del presidente federale Noël Le Graët. L’alternativa è pronta: Zidane.