Diego se n’è andato due anni fa ma come si dice di quei protagonisti della storia - anche del calcio - amatissimi dal popolo, è ancora con noi, leggenda vivente. Non esagero, anche perché ho una zona inesplorata della sua vita che voglio raccontare senza lacrime né mestizia. È la storia del Guerriero Maradona che potrei chiamare anche General Diego Armando se non fosse che i generali argentini evocano solo sangue e dolore. Eppure, quando Diego arrivò in Spagna nel 1982 con la nazionale del Flaco Menotti, l’Albiceleste campione del mondo in carica, non era soltanto un calciatore e sapeva che per la sua gente contava molto di più. Quando il 29 giugno arrivammo al Sarrià per veder l’Italia contro l’Argentina - molti per stendere l’elogio funebre di Bearzot, io per applaudirlo vincitore, me lo sentivo da tempo nonostante le amarezze di Vigo - in tribuna stampa fummo assaliti da colleghi argentini eccitati che cantavano, gridavano o mormoravano (un paio di renitenti al patriottismo) «Las Malvinas son argentinas». Con una certa disperazione nella voce perché il generale Galtieri - quarantatreesimo presidente dell’Argentina - era stato deposto il 18 giugno, e tuttavia ostentavano iattanza gallega perché li avrebbe vendicati Maradona. «Il generale Maradona» - mi disse Guillermo Blanco, il portavoce di Diego che già pareva un colonnello. Primo passo, la campagna d’Italia, far fuori gli azzurri che li avevano sconfitti a Baires, nel ‘78. Ma alle 7 della sera - gol di Tardelli e Cabrini, poi solo l’orgoglio di Passarella - El Pibe era caduto. «Le ferite bruciavan come soli / alle sette della sera / E la folla rompeva le finestre / alle sette della sera. / Aiah, che terribili sette della sera!». Di Garcia Lorca preferivo «E io che me la portai al fiume / credendo che fosse ragazza / invece aveva marito»: ma sull’arena del Sarrìa si era compiuto un rito doloroso. La caduta di un altro generale. Breve la vita felice di Leopoldo Fortunato Galtieri Castelli e del suo sogno patriottardo. Era nato a Caseros, nella provincia di Buenos Aires, la sua famiglia era d’origine italiana, da Mormanno, Calabria. Militare di carriera, nel 1976 aveva partecipato con Jorge Rafael Videla al colpo di stato che aveva cacciato dalla Casa Rosada la presidente Isabel Martinez de Peron, Isabelita vice Evita. Era uno dei generali che conobbi durante il Mundial del 1978: Videla il dittatore, scaltro, autorevole, crudele, lui, Galtieri,un maresciallo sopravvalutato eppure nominato dal suo onnipotente capo Generalissimo Supremo. Sparito il vero leader, Galtieri nel dicembre dell’ 81 ne aveva preso il posto scalzando Carlos Alberto Lacoste, l’ammiraglio che durante il Mundial trattava con i giornalisti di tutto il mondo e una mattina mi aveva convocato per lamentarsi del mio servizio sulle Madri Piangenti di Plaza de Mayo. Mi avrebbe sbattuto in galera ma era invece costretto ad esibire con eleganza la sua generosa tolleranza. Galtieri aveva fatto fuori anche il copresidente Roberto Viola ed ebbe una breve fortuna, perché piaceva a Ronald Reagan in chiave anticomunista e anche perché gli venne in mente un’idea meravigliosa: liberare le Isole Falkland dal dominio inglese e farle tornare Isole Malvine. Al grido «Las Malvinas son argentinas!» il 26 marzo 1982 spedì diecimila uomini a espugnare l’isola difesa da un centinaio di marines britannici, li fece fuori e fu accolto trionfalmente a Baires come se avesse rivinto il Mundial. Era sua l’audace “Operación Rosario” che tuttavia durò lo spazio di un mattino. Margaret Thatcher s’incazzò e decise di rimettere al vento nelle Falkland l’Union Jack. Decise da sola il contrattacco spedendo in quelle terre lontane 127 unità maggiori, di cui 43 della Royal Navy (tra cui, oltre alle 2 portaerei, 5 sottomarini a propulsione nucleare, un sottomarino diesel-elettrico, 8 cacciatorpediniere e 15 fregate), 22 della Royal Fleet Auxiliary (10 delle quali petroliere/rifornitori di squadra), e 62 mercantili militarizzati (tra cui 2 navi da crociera, 8 traghetti Ro.Ro, 4 grossi portacontainer, 7 mercantili, 15 petroliere). Insieme alla 3ª Brigata Commando di Royal Marines, battaglioni paracadutisti facenti parte del Parachute Regiment e la 5ª Brigata di Fanteria . Dieci a zero e porta casa. La campagna fu talmente rapida - dal 19 aprile al 20 giugno - che alcune navi da guerra arrivarono a giochi fatti. Quattr’anni dopo, a Mexico, quando fui accompagnato al ritiro dell’Albiceleste - sorvegliato da un piccolo esercito - per incontrare Diego, i suoi compagni e lui stesso mi salutarono gridando «Las Malvinas son argentinas!». «Ma scherzate!?» - gli dissi. Ma Paolo Paoletti, che raccoglieva le confi denze del Pibe per il mio Guerin, non rise: «Fanno sul serio. Stanno preparando qualcosa». E quando fu l’ora di Argentina-Inghilterra, il 22 giugno, all’Azteca, mezzogiorno di fuoco, vidi cose che non avrei mai più visto: al 51’ la mano de Diós - 1 a 0 - al 55’ il mirabolante slalom di Diego fra le gambe degli inglesi - 2 a 0 - e all’81 Gary Lineker segnò il suo gol inutile e stramazzò nell’arena. Victor Hugo Morales - la radiovoce argentina per eccellenza - cantò in lacrime: «Ho appena visto Diego Armando Maradona segnare il gol del secolo, 62 metri in 11 secondi, 12 tocchi tutti di sinistro, roba da pazzi», «Vendetta è fatta» - disse El Pibe de Oro ai compagni nello spogliatoio. Le Falkland, in quel momento, eran tornate Malvinas. E a Baires, nella piazza dell’obelisco, la gente cantava e ballava come nella notte mundial. Tempo dopo, la Regina Elisabetta volle conoscere il Guerriero Maradona e lo invitò a corte. Li vide, sorrisero insieme. E se lo fece amico.