L'ultima al San Paolo, allora si chiamava così, la decise con un cross dei suoi, una pennellata cui Napoli si era talmente abituata da scambiarla per normalità. Ha impiegato quasi vent’anni a comprendere che era fantascienza. Pur se sovrappeso, gonfi o di cocaina, va sul fondo e col joystick serve a Zola il classico cross col biglietto “basta spingere”. Era Napoli-Bari del 1991. Eh sì, ho visto Maradona. Abbiamo visto Maradona. Anche al largo dei Bastioni di Orione si fermavano a guardarlo. Di palloni da spingere in rete ne ha serviti da farne indigestione. Uno, a Caffarelli, di rabona. Contro il Torino. Il buon Gigi dovette solo mettere la fronte. Ha segnato una rovesciata da terra, a Pescara, nel pre-campionato della prima stagione. Pallonetti da averne quasi a nausea. Punizioni in area ancora oggi incomprensibili per chi ha alle spalle discreti studi di fi sica. Ma di quei sette anni, se dovessimo scegliere un momento delle partite, sceglieremmo senza dubbio le rimesse laterali. Sono come i filmati in bianco e nero della Rai anni Sessanta. Un altro mondo, un altro sport. Come disse Schuster: «Il cartellino rosso era solo per l’omicidio». Impossibile un paragone col calcio di oggi. E sulla rimessa laterale la scena era sempre la stessa. Un calciatore del Napoli col pallone tra le mani e di fronte a sé questo signore con la maglia numero 10: aveva un avversario quasi in testa, uno che provava a buttarlo giù in maniera classica, con lo sgambetto, e spesso anche un altro che gli tirava la maglietta. In questa scena da cartone animato, si vedeva questo signore che faceva cenno di dargli comunque la palla. Non l’avrebbe praticamente mai persa. In sette anni.
Il settennato
Segnò a San Siro contro l’Inter. Giordano crossò, lui stoppò di petto e col sinistro la adagiò nell’angolino basso. Zenga l’ha poi raccontata così: «Sul cross incrociai lo sguardo di Maradona che mi guardò dritto negli occhi mentre il pallone finiva in rete». Il primo anno si ritrovò anche in zona retrocessione. All’epoca non c’erano procuratori che minacciavano e organizzavano l’addio in poche settimane. Bisognava rimboccarsi le maniche e pedalare. Vinse al terzo anno. Dopo aver sbagliato un rigore a Tolosa (la seconda delusione più grande del suo settennato, anche perché inattesa) e aver battuto la Juventus sotto la pioggia. Non corse mai più come nella prima stagione. Ma si stagliava in campo, era diventato anche un leader politico. Dispensava palloni, intimoriva gli avversari, sembrava che riposasse e poi all’improvviso colpiva. Ancora oggi non è chiaro se i suoi gol napoletani di mano siano due o solo uno: quello a Udine è certo; quello in casa contro la Sampdoria, apparentemente su colpo di testa rasoterra, ancora no. Neanche il Var lo avrebbe accertato. Lo sberleffo a chi oggi sostiene che col Var la mano de Dios non ci sarebbe mai stata. La più grande delusione, neanche a dirlo, fu il primo maggio 1988, la sconfitta col Milan di Sacchi. Eppure l’anno dopo la rivincita se la prese a modo suo: 4-1 e partita sbloccata con un gol di testa da fuori area dopo essersi bevuto il fuorigioco. Sacchi schiumava rabbia, gli usciva il fumo dalle narici. Forse disse la frase più bella su Diego: «Quando giochi contro di lui, giochi contro il tempo, perché sai che prima o poi ti farà gol». Accese la luce il 5 luglio 1984 e la spense nella notte tra il 1° e il 2 aprile del 1991. Quando sei al centro degli eventi, rischi di non rendertene conto. Poi, però, quando per i successivi vent’anni ti accorgi che nessuno va sulla linea di fondo ed estrae i cross dal cilindro, capisci che sei stato spettatore della storia. Che hai visto Maradona.
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La maglia ritirata
E' il 24 agosto del 2000 il giorno in cui il Napoli decise di ritirare la maglia numero dieci che fu di Diego. È il Napoli della gestione Corbelli-Ferlaino con in panchina Zdenek Zeman che non aveva ancora assegnato il numero. In realtà, a causa della retrocessione in Serie C dove vigeva ancora la numerazione classica, la 10 venne poi ancora indossata. La portò anche Corrent. L’ultimo fu Mariano Bogliacino nella gara interna di Supercoppa di C1 contro lo Spezia. Ma l’immagine più impressa nella mente dei tifosi è quella del Pampa Sosa a Napoli contro il Frosinone. Poi, il Napoli in Serie C non ha più giocato.
Idolo e musa di un regista premio Oscar
Quando vinse l’Oscar nel 2014 con “La grande bellezza”, Paolo Sorrentino salì sul palco e pronunciò le seguenti parole: «Grazie alle mie fonti d’ispirazione: Federico Fellini, Talking Heads, Martin Scorsese e Diego Armando Maradona». Diego è stato sempre protagonista delle opere del regista napoletano: prima il personaggio Maradona in Youth e poi l’opera a lui dedicata: “È stata la mano di Dio” che ripercorre la tragedia familiare di Sorrentino. Il regista perse i genitori in una fuga di gas in montagna. Lui non andò, rimase a Napoli per andare allo stadio a vedere Maradona.