Nel nome del padre, del figlio e del D1OS. Non è la formula della Iglesia Maradoniana, la chiesa che professa la religione del Diego fondata a Rosario nel 1988, ma con Maradona a Napoli va bene tutto. E sia chiaro: non si tratta della venerazione del culto calcistico nato in Argentina, per altro rispettabilissimo con i suoi oltre ottocentomila seguaci compresi Messi e Ronaldinho, ma è una forma d’amore. Amore eterno, amore vero, imperituro: difficile spiegare cosa sia il Pibe per la città e per la gente, facciamo anche impossibile, ma dallo stadio alle strade, passando per le case è una sorta di magia sacra. È un cuore che batte senza pause dal 1984, da quando Diego salutò i napolitani - come disse lui - calciando in cielo un pallone in quello che ieri si chiamava San Paolo e oggi Stadio Diego Armando Maradona. Il tempio, la cattedrale. E tutto intorno sono altari e inchini. E musica. E dipinti. Piazze, strade, anime: a Napoli, signore e signori, lui è ovunque. Nel nome del padre, del figlio e del D1OS.
Il murale
E allora, vamos. Un giro lungo, immenso: la città e i dintorni sono una sorta di museo a cielo aperto fatto di stanze senza tetto e muraglie umane. Letteralmente: dal giorno della morte di Diego, il murale dipinto ai Quartieri Spagnoli 32 anni fa da Mario Filardi e finanziato da un gruppo di tifosi per festeggiare il secondo scudetto e poi restaurato nel volto dallo street artist argentino Francisco Bosoletti è diventato meta di veri e propri pellegrinaggi. Tanto che oggi è conosciuto come: “Santuario Maradona”. Folle oceaniche nello spicchio d’asfalto di via Emanuele de Deo: ci vanno i turisti e i napoletani e tutti quelli che passano da queste parti per qualsiasi motivo. Per un tuffo nel passato, come Careca e Zola; per celebrare il compleanno, come i tifosi del Boca avvistati un annetto fa; o magari per giocare con il Napoli: tipo Mourinho. Il primo altare spontaneo, però, prese vita il 25 novembre 2020, nel giorno dell’adios: all’esterno dello stadio, allestito con le sciarpe, i disegni, i messaggi, le foto e le candele adagiate dalla gente. La sua gente.
Il capello
E ancora: nel ventre del Maradona, a lui intitolato al volo il 4 dicembre 2020 nel pieno del dolore, c’è la statua donata alla città dal suo amico e storico assistente Stefano Ceci: è conservata nella zona degli spogliatoi e ogni tanto fa capolino per un saluto e un omaggio del popolo. E le note in sottofondo, beh, sono sempre le stesse: quelle de La mano de Dios di Rodrigo Bueno detto El Potro, cantautore argentino scomparso nel 2000 in un incidente stradale poco dopo l’uscita di un brano ormai immortale. Narra la storia di Diego e i napoletani la cantano prima di ogni partita. Non si deroga, mai. E se lo stadio è il tempio e il murale il Santuario, al centro storico c’è anche un altarino allestito in un bar: conserva un capello che dicono sia di Maradona. Originale. Leggenda o realtà? Fede. La stessa che spinge a visitare la casa di via Scipione Capece. A Posillipo: uno sguardo da fuori, certo, però un modo per sentirsi vicino a lui.
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Immortale
Altro murale conosciuto in tutto il mondo è quello di Jorit, street artist na - poletano dallo stile inconfondibile. Lo ha realizzato a San Giovanni a Teduccio in quella che poi è stata ribattezzata “Piazzetta Maradona” e il suo titolo è eloquente: Dios Umano. Intenso è anche il dipinto sul muro del fu Centro Paradiso di Soccavo, la vecchia casa del Napoli di Diego: ritrae lui e sua figlia Dalma come da splendida foto d’archivio e lo ha realizzato un altro artista napoletano, Mario Farina. Di murales piccoli o grandi, o magari graffiti, ce ne sono però tanti, tantissimi, in ogni parte della città. In periferia e nei paesi limitrofi, finanche a Pompei: ovunque, davvero, ed è impossibile contarli e citarli tutti. Bello da vedere e soprattutto respirare è il Museo Maradona allestito dagli eredi di Saverio Vignati, indimenticabile custode dello stadio San Paolo che per Diego era una sorta di padre di una sorta di famiglia napoletana, con una serie di foto e cimeli vari. Diego si faceva coccolare e lo coccolavano. E anche loro l’hanno reso immortale. Con amore.