U21, crisi nei vivai: è rivoluzione

Zero titoli dal 2004, ultimo pass olimpico nel 2008. Ora Nunziata, Bollini o Corradi al posto di Nicolato
U21, crisi nei vivai: è rivoluzione© EPA
Giorgio Marota
8 min

La riforma del calcio è la cura di tutti i mali? Chissà. La promettono da almeno 30 anni ed è un argomento che torna attuale soprattutto quando le cose precipitano, come è accaduto due sere fa all’Europeo Under 21. Quella competizione poteva essere il trampolino di lancio verso le Olimpiadi di Parigi: gli azzurrini le guarderanno da casa, ancora una volta, sbattuti fuori in un girone alla portata. Sono Giochi proibiti quelli a cinque cerchi. E con le Under non vinciamo più. L’Italia non porta a casa un titolo giovanile dal 2004 (allenava Gentile, in campo De Rossi e Gilardino), non partecipa alle Olimpiadi dal 2008 e, allargando lo stato di crisi agli adulti, non prende parte a un Mondiale dal 2014. Eppure, in quasi 20 anni di delusioni - al netto di un Europeo vinto dentro un’estate magica - le uniche vere speranze di rinascita le hanno regalate proprio quei ragazzi che si sono spinti a un passo dalla gloria: le Under 19 di Vanoli a Euro 2016 e di Nicolato nel 2018, sconfitte in finale rispettivamente dalla Francia di Mbappé e dal Portogallo, le Under 17 di Nunziata negli Europei 2018 e 2019, fermate in finale due volte dall’Olanda e poi di recente l’Under 20 (sempre di Nunziata) che ha lasciato il gradino più alto del podio mondiale all’Uruguay. 

Tutti i nomi per il dopo Nicolato

Salutato Nicolato (il contratto dell’allenatore veneto scade oggi), è già partita la caccia al successore sulla panchina dell’Under 21, con il ct Mancini che avrà un ruolo di supervisore per avvicinare - sempre di più - la selezione giovanile più importante alle metodologie della Nazionale maggiore. Tra lunedì e martedì andrà in scena un summit tra il presidente Figc, Gabriele Gravina, il coordinatore delle nazionali giovanili, Maurizio Viscidi, Roberto Mancini e altri uomini fidati. L’obiettivo è trovare una soluzione immediata. Restano due correnti di pensiero: quella più accreditata spinge per la soluzione interna, l’altra per il “nome forte” come Fabio Cannavaro e Daniele De Rossi, entrambi stimati da Gravina e dallo stesso Mancini. Quella di promuovere Carmine Nunziata, costruttore di gruppi, tattico evolutissimo e specialista dei tornei in pochi giorni, è un’idea che piace a molti; negli ultimi 5 anni il suo “peggior” risultato è stata una semifinale europea. È parecchio calda anche la pista Bollini, guru del calcio giovanile, esperto e vincente, recentemente promosso nello staff di Mancini per le finali di Nations: il torneo continentale U19 che comincia il 3 luglio è la sua occasione per mettere la freccia. Non vanno dimenticati neppure Alberico Evani, uomo fidatissimo del Mancio, e Bernardo Corradi, altro profilo “made in Figc”, oggi sulla panchina dell’Under 17. 

I giovani giocano troppo poco nei rispettivi club

Ripartire dal talento sarà, in qualsiasi caso, il primo passo. Ma la Federcalcio non può compierlo senza il supporto dei club, troppo spesso un ostacolo alla programmazione (vedi la riforma...). Il Club Italia prende per mano i talenti dall’U15 come insegnano le storie di Barella, Donnarumma e Scalvini, ma l’imbuto è ancora troppo stretto. La rosa dell’Under 21 è scesa in campo all’Europeo con il 22% in meno di minuti nelle gambe rispetto alla Francia (672 partite di differenza in una sola stagione) e il 17% in meno rispetto agli svizzeri. L’Under 20, per citare un altro esempio, ha giocato il Mondiale con un gruppo sparso tra Lega Pro e Primavera e un’ossatura inesperta, schierando in porta Despalnches (secondo al Trento in C, premiato come miglior portiere del torneo), in difesa Guarino (0 minuti in A con l’Empoli), a centrocampo Faticanti (solo 1 gettone in Europa League con la Roma) e in attacco Ambrosino (6 gare da titolare in B col Cittadella). Questo non è un Paese per giovani: la media di “azzurrabili” titolari per ogni turno di A oscilla tra 3 e 4 in ogni squadra e lo scudetto Primavera l’ha vinto il Lecce con una formazione fatta di stranieri. Proprio in Primavera è stata introdotta una norma che progressivamente punta a far crescere il numero di italiani e di calciatori formati nei vivai: si arriverà alla formula 10+10 nel 2026. Basterà? Difficile, se il campionato dei grandi non accompagnerà il processo con regole simili. La storia recente dice che i campioncini devono andare all’estero per emergere: Cher Ndour si sta trasferendo dal Benfica al Psg, Filippo Mané è al Borussia Dortmund, Fabio Chiarodia è nato in Germania e lì è rimasto (passando dal Werder al Monchengladbach ) pur scegliendo i colori azzurri, il romagnolo Casadei è emigrato al Chelsea, mentre Gnonto è passato dalla Svizzera prima di consacrarsi al Leeds. Nell’estate del 2012 Verratti fu ceduto al Psg, 11 anni dopo ha fatto le valigie Tonali: stesso ruolo, stessa storia.  

Il futuro è tutto da scrivere

A proposito di giovani che non emergono, va considerato nei discorsi anche il decreto crescita: nato con il nobile intento di far rientrare i “cervelli in fuga”, la norma è stata usurpata dal calcio per comprare all’estero spendendo meno. Ma non è tutto da buttare. È giusto ricordare che l’Italia è stata l’unico Paese in Europa a qualificare 4 squadre su 4 nelle competizioni giovanili: Europei U17, U19 e U21, più il Mondial e U20. Le selezioni azzurre propongono tutte un calcio fatto di palleggio, pressing alto e tecnica individuale e lo scouting internazionale della Figc sta cercando i nuovi Retegui in giro per il mondo. È un lavoro lungo e complesso, che non potrà dare frutti nell’immediato.  

 

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