Il nostro calcio è uno stile da tutelare

Leggi il commento sull’ultima prestazione dell’Italia di Spalletti
Il nostro calcio è uno stile da tutelare© Getty Images
Alberto Polverosi
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"A ll’italiana". Immaginiamo i francesi, ma anche gli inglesi e soprattutto gli spagnoli di fronte al titolo con cui ieri il nostro giornale sintetizzava il trionfo parigino. Sorrideranno, penseranno alla difesa a oltranza, al catenaccio. “Puf, les italiens”. E invece non abbiamo vinto così al Parco dei Principi, perché il calcio all’italiana non è quell’arruffìo difensivo che pensano in Europa. È uno stile che dovremmo tenerci stretto, perché è la nostra radice. Qualcuno ricorderà cosa diceva un maestro come Carlo Mazzone: «La tattica è la virtù dei poveri». Siamo tecnicamente più deboli della Francia? Sì, senza dubbio, e allora perché non provare con le idee, la strategia, la tattica appunto, a metterli in difficoltà? Il calcio è supremazia, è vero, ma è anche intelligenza, organizzazione, intuito, altrimenti vincerebbe sempre il più forte e invece non è così. Non ha vinto Mbappé, ha vinto Retegui.  

 La partita dell’Italia è stata la sintesi perfetta del calcio all’italiana. Non ci siamo solo difesi anche se Spalletti ha schierato sei centrocampisti e tre difensori. Un bel 3-6-1. E nessuno doveva vergognarsi perché se non li avessimo fermati a metà campo ci avrebbero fatto del male con i tre davanti. Con quella impostazione abbiamo segnato un gol splendido e centrato una traversa dopo un’altra azione da applausi. Era difesa quella? 
Il 3-1 del Parco dei Principi può rappresentare un passaggio fondamentale nella gestione della Nazionale: a decidere, a stabilire cosa bisogna fare in campo, non può essere la sola idea dell’allenatore, ma l’idea dell’allenatore adeguata alle caratteristiche dei giocatori. Il calciatore arriva prima del tecnico. E il tecnico più bravo è quello che capisce subisce il tipo di materiale a sua disposizione. Durante il tragitto verso e dentro l’Europeo del 2012 abbiamo vinto diverse partite dominandole. Ricordiamo però il centrocampo del ct Prandelli: De Rossi, Pirlo, Marchisio, Montolivo, più Thiago Motta che nel 2010 aveva realizzato la tripletta con l’Inter. Adesso abbiamo quei giocatori? No, non li abbiamo. Magari in futuro torneranno, riavremo un Pirlo, un Baggio o un Totti, un Vieri o un Gigi Riva, e allora potremo spostarci su un altro tipo di calcio, su un palleggio più raffinato o su una fase offensiva più insistita. Ma oggi è giusto così. 
Spalletti ha capito. Ha svuotato i giocatori da responsabilità eccessive, ha tolto dalla loro testa le infrastrutture mentali dell’Europeo e li ha schierati come era giusto schierarli. Poi è vero, abbiamo fatto anche catenaccio, però solo negli ultimi minuti, sul 3-1, quando uno spirito fortissimo ci sosteneva. C’è stato un momento, nel finale, in cui qualcuno si è alzato in piedi a battere le mani a Kean: con tutta la forza di questa terra stava proteggendo, contro due o tre francesoni, la palla sulla bandierina del calcio d’angolo per strappare un corner e perdere ancora qualche secondo. Non lo abbiamo fatto dal primo minuto, ma nel recupero, quando serviva, quando il calcio all’italiana, fatto dagli italiani, ci ha di nuovo entusiasmato. Aspettiamo la riprova di martedì a Budapest con Israele ma da lassù Enzo avrà di sicuro applaudito Luciano. 


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