Pagina 2 | Dentro la rinascita dell’Italia: la convinzione di Spalletti, Buffon, il 3-5-2

INVIATO A BUDAPEST - Le forti motivazioni di Spalletti hanno fatto la differenza, la fiducia di Gravina è stata decisiva. Dopo l’Europeo in Germania, sotto l’assedio della politica, in Via Allegri restava un solo spiraglio da attraversare con calma, analizzando bene gli errori, senza decisioni di pancia. Nei primi quindici giorni di luglio, dedicati alle riflessioni e alle verifiche, le possibilità di una crisi tecnico-federale sono state elevatissime, ma la logica spingeva nella direzione opposta. Dentro il cosiddetto “semestre bianco”, nell’imminenza di un’assemblea elettorale, la Federazione non avrebbe mai potuto pensare di risolvere il rapporto con il commissario tecnico. Interrogarsi sugli errori sì, cambiare guida no. Un eventuale passo indietro di Lucio, scosso e deluso per la resa senza onore con la Svizzera, avrebbe forse costretto anche Gravina a farsi da parte. Presidente e ct si sono dati tempo per riflettere e studiare un progetto condiviso. L’ex tecnico del Napoli non ha mai realmente immaginato di dimettersi. Una sconfitta si supera solo riprovandoci e facendo tesoro degli errori. L’esperienza indica il percorso di crescita. Lucio, fresco campione d’Italia che per la Nazionale aveva rinunciato a soldi più facili e ad interrompere la causa con De Laurentiis, non accettava l’idea di uscire da perdente all’ultima tappa della carriera. Meglio mettersi in discussione, capendo dove avrebbe potuto e dovuto correggersi: è la legge dello sport e della vita, una sfida con se stessi. Gravina e Buffon lo hanno protetto. I risultati peraltro non dettavano un giudizio netto. Male in Germania, ma Spalletti l’estate scorsa aveva preso un’Italia che rischiava di non qualificarsi all’Europeo: meritava almeno il diritto alla prova d’appello.

Buffon sempre più incisivo

Buffon, durante l’estate con il ct e con la squadra nel ritiro di Coverciano, ha spianato la strada verso la rinascita del Parco dei Principi. «Queste a volte possono essere le partite giuste per rialzarsi» aveva confidato l’ex portierone della Juve e della Nazionale a inizio settimana fermandosi a chiacchierare con i media. Lo stesso Spalletti, ripresentandosi il 2 settembre in conferenza, aveva raccontato quanto fosse stato attivo nel rapporto con i giocatori. L’investitura di Gravina risale alla metà di luglio, due settimane dopo il fallimento in Germania. Una presenza costante e sempre più incisiva accanto alla squadra. Gigi, fresco di diploma da direttore sportivo, non è più solo un capodelegazione ma il cuscinetto adeguato per mediare, confidarsi con il tecnico, interagire con lo spogliatoio. Una figura dirigenziale di raccordo, spesso preziosa e decisiva nel calcio moderno. Ha pesato l’autocritica di Spalletti. «Ho messo troppa pressione ai giocatori, sono stato un rompiscatole, quasi disumano nel perseguire certi comportamenti votati al risultato» ha riconosciuto. Regole e comportamenti nella scala valoriale di un professionista restano prioritari. La rigidità eccessiva può rivelarsi un boomerang. Il clima, durante il ritiro tedesco di Iserlohn, era diventato pesante dopo il ko di Gelsenkirchen con la Spagna. La preferenza del blocco Inter per la difesa a tre, un nuovo cambio di strategia per la Svizzera. Giorni di tensione. Il black out di Berlino figlio di una squadra vuota, stremata dalle aspettative, stanca, senza più energie mentali e fisiche, schiantata sul traguardo. Normalizzare, ricreare condizioni di serenità e pacificare lo spogliatoio ora contava più del modulo e della tattica.


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Basta cambiare: concreti con il 3-5-2

Semplificare gli schemi, evitando equivoci, incomprensioni e letture tattiche complicate. Frattesi, nella zona mista del Parco dei Principi, è stato esplicito. «Poche cose e semplici, in Nazionale è giusto così, non c’è tanto tempo». Spalletti ha scelto il 3-5-2. Niente più dubbi sul modulo, praticato ai tempi dell’Udinese da Champions e (in precedenza) sintetizzato dalla sua tesi di laurea al Master di Coverciano. La sua carriera era partita dalla difesa a tre. Potrà declinare in maniera diversa il tema offensivo, come è successo nel primo tempo a Parigi, quando ha inserito Pellegrini dietro a Retegui giocando di fatto con sei centrocampisti. L’Italia in Germania era stata stordita da evoluzioni tattiche sofisticate: costruzione a tre, difesa a quattro, il movimento a pendolo degli esterni, la ricerca dei trequartisti imbucando il passaggio tra due avversari (Lucio li chiama “mezzi spazi”: più banalmente il corridoio). Nell’emergenza prevale la concretezza. Forse Lucio si era fidato troppo di se stesso. C’è chi dubita non sia un selezionatore, ma al posto di Mancini e nelle sei partite di qualificazione all’Europeo era entrato benissimo, centrando la missione con il 4-3-3. Anche al Parco dei Principi ha indovinato i codici di accesso per mandare in crisi la Francia: cambi di gioco, Calafiori play aggiunto accanto a Ricci per spingere avanti Tonali. La duttilità ha un senso se Udogie fa più ruoli. Le sostituzioni hanno pagato, concedendo libertà al talento. Il ct ha colpito di rimessa, in campo aperto. Il gol del sorpasso di Frattesi è nato da un’azione sviluppata in combinazione con Raspadori e Retegui, i tre più offensivi del 3-4-2-1. Un contropiede modernissimo all’italiana.

Il nuovo ciclo giovane

Il progetto condiviso di cui parlava Gravina a Casa Italia, quando è andato a trovare Pancalli e gli atleti paralimpici impegnati a Parigi, riguardava i giovani, il prossimo biennio votato al Mondiale 2026 e il tempo giusto per lavorare, impostando un nuovo ciclo. Spalletti non ha sbagliato a chiamare solo 23 giocatori, cominciando a fare scelte nette. I giovani hanno portato fame, stimoli, entusiasmo. Meglio coinvolgere tutti nel progetto, puntare sulle motivazioni forti, eliminando sacche di insoddisfazioni invitabili quando raduni un gruppo di trenta persone e si allenano bene in venti. Non tutto era da buttare dentro un Europeo in cui, è bene ricordarlo, il ct aveva scelto di puntare sulla difesa a tre e sul blocco dell’Inter, perdendo un cardine come Acerbi alla fine di maggio. Non solo. L’Italia a Berlino non stava in piedi e per l’intero Europeo, dati atletici alla mano, aveva dimostrato di correre meno di tutte le altre nazionali. Dimarco era entrato in crisi dopo il debutto con l’Albania ed era fuori per infortunio con la Svizzera. All’Olympiastadion mancava Calafiori (squalificato), la vera scoperta di Lucio. Serve il coraggio per investire sui giovani. Bisogna crederci e farli giocare. La crescita di Cambiaso, il ritorno di Udogie. Per Ricci era l’esordio da titolare. Ora è presto per eleggerlo nuovo regista dell’Italia, dovrà attraversare delusioni o momenti di difficoltà, ma per la prima volta e in attesa di conferme c’è la sensazione di aver trovato il possibile erede di Jorginho. Tre anni dopo l’Europeo di Wembley è una grandissima notizia, così come non si può trascurare il rientro di Tonali. Non averlo in Germania, ha marcato una differenza enorme.


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Basta cambiare: concreti con il 3-5-2

Semplificare gli schemi, evitando equivoci, incomprensioni e letture tattiche complicate. Frattesi, nella zona mista del Parco dei Principi, è stato esplicito. «Poche cose e semplici, in Nazionale è giusto così, non c’è tanto tempo». Spalletti ha scelto il 3-5-2. Niente più dubbi sul modulo, praticato ai tempi dell’Udinese da Champions e (in precedenza) sintetizzato dalla sua tesi di laurea al Master di Coverciano. La sua carriera era partita dalla difesa a tre. Potrà declinare in maniera diversa il tema offensivo, come è successo nel primo tempo a Parigi, quando ha inserito Pellegrini dietro a Retegui giocando di fatto con sei centrocampisti. L’Italia in Germania era stata stordita da evoluzioni tattiche sofisticate: costruzione a tre, difesa a quattro, il movimento a pendolo degli esterni, la ricerca dei trequartisti imbucando il passaggio tra due avversari (Lucio li chiama “mezzi spazi”: più banalmente il corridoio). Nell’emergenza prevale la concretezza. Forse Lucio si era fidato troppo di se stesso. C’è chi dubita non sia un selezionatore, ma al posto di Mancini e nelle sei partite di qualificazione all’Europeo era entrato benissimo, centrando la missione con il 4-3-3. Anche al Parco dei Principi ha indovinato i codici di accesso per mandare in crisi la Francia: cambi di gioco, Calafiori play aggiunto accanto a Ricci per spingere avanti Tonali. La duttilità ha un senso se Udogie fa più ruoli. Le sostituzioni hanno pagato, concedendo libertà al talento. Il ct ha colpito di rimessa, in campo aperto. Il gol del sorpasso di Frattesi è nato da un’azione sviluppata in combinazione con Raspadori e Retegui, i tre più offensivi del 3-4-2-1. Un contropiede modernissimo all’italiana.

Il nuovo ciclo giovane

Il progetto condiviso di cui parlava Gravina a Casa Italia, quando è andato a trovare Pancalli e gli atleti paralimpici impegnati a Parigi, riguardava i giovani, il prossimo biennio votato al Mondiale 2026 e il tempo giusto per lavorare, impostando un nuovo ciclo. Spalletti non ha sbagliato a chiamare solo 23 giocatori, cominciando a fare scelte nette. I giovani hanno portato fame, stimoli, entusiasmo. Meglio coinvolgere tutti nel progetto, puntare sulle motivazioni forti, eliminando sacche di insoddisfazioni invitabili quando raduni un gruppo di trenta persone e si allenano bene in venti. Non tutto era da buttare dentro un Europeo in cui, è bene ricordarlo, il ct aveva scelto di puntare sulla difesa a tre e sul blocco dell’Inter, perdendo un cardine come Acerbi alla fine di maggio. Non solo. L’Italia a Berlino non stava in piedi e per l’intero Europeo, dati atletici alla mano, aveva dimostrato di correre meno di tutte le altre nazionali. Dimarco era entrato in crisi dopo il debutto con l’Albania ed era fuori per infortunio con la Svizzera. All’Olympiastadion mancava Calafiori (squalificato), la vera scoperta di Lucio. Serve il coraggio per investire sui giovani. Bisogna crederci e farli giocare. La crescita di Cambiaso, il ritorno di Udogie. Per Ricci era l’esordio da titolare. Ora è presto per eleggerlo nuovo regista dell’Italia, dovrà attraversare delusioni o momenti di difficoltà, ma per la prima volta e in attesa di conferme c’è la sensazione di aver trovato il possibile erede di Jorginho. Tre anni dopo l’Europeo di Wembley è una grandissima notizia, così come non si può trascurare il rientro di Tonali. Non averlo in Germania, ha marcato una differenza enorme.


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