Questi siamo. Una squadra da costruire. Cui difetta la velocità e il carattere. Per cui anche il gioco, quello nuovo, portato dalle idee di Spalletti, inciampa su troppe trappole. Inciampa sul ritardo a impostare l’azione da parte di Mancini, costretto a fare il regista arretrato, perché il regista vero, Cristante, è annullato dalla marcatura a uomo di Bardhi. Inciampa sulla timidezza a verticalizzare degli esterni e dei mediani, come se tutti sentissero sulle spalle una responsabilità ultimativa e perciò troppo pesante, e ciascuno cercasse di scaricarla sul compagno vicino, optando sempre per la soluzione più comoda per noi e più innocua per gli avversari. Inciampa sulla paura di vincere dopo il gol segnato, che nella volontà del tecnico andava difeso con un pressing asfissiante sulla Macedonia e con un possesso palla rapido, autorevole, come quello del Napoli dello scudetto, per intenderci, e che invece si è ridotto a un pressing intermittente e limitato a sinistra, mentre a destra la Macedonia bucava la mediana come un burro. Inciampa sull’inadeguatezza ormai inguaribile di Zaniolo, che, rimproverato dal tecnico per la sua scarsa applicazione al recupero sull’avversario, pensa bene di atterrare Elmas alle spalle a due metri dalla nostra area di rigore, regalando a Bardhi la posizione ideale per esprimersi come il macedone sa fare. Inciampa sull’umana fallibilità di Donnarumma, che è un portiere dei miracoli e del letargo, e quindi un portiere appena normale e non un fenomeno, in ritardo intuitivo sul tiro a giro che lo condanna. Inciampa sulle zolle inguardabili e inaccettabili dello stadio di Skopje, che come tutti i campi impraticabili danneggiano la squadra più forte tecnicamente, perché annullano o riducono il suo differenziale. Questi siamo, diversi da quelli di Mancini perché abbiamo studiato a tavolino come triangolare meglio, come stare più corti, come cambiarci di ruolo, come invertire gli esterni con i mediani, creando sovrapposizioni che dovrebbero, se fossero attuate con la dovuta velocità, gettare nello scompiglio gli avversari, e che invece risultano prevedibili, consentendo alla Macedonia di riposizionarsi sempre nella sua tre quarti prima che la palla arrivi a trenta metri dal bravo portiere Dimitrievski. Perché, se una cosa ha distinto il Napoli di Spalletti dalle altre squadre di serie A, non è il palleggio, ma il palleggio veloce. E tra il palleggio e il palleggio veloce c’è la differenza che passa tra Mancini e Lobotka, per dirne due. Questi siamo, e dobbiamo difendere con i denti uno strapuntino per l’Europa, vincendo a Milano contro l’Ucraina, ma poi dobbiamo reinventarci. Ed allora tutto diventa più difficile anche per uno scienziato come Luciano Spalletti, accorso al capezzale di questa Nazionale, che è simbolo delle contraddizioni di un intero sistema. L’Italia non vince fino a quando nei vivai dei venti club di serie A gli stranieri sono i tre quarti. Cioè non vince fino a quando il governo non cambia in maniera radicale una normativa fiscale che ha trasformato il business in un bingo contabile, a danno della cultura sportiva. Non si tratta di difendere una estemporanea italianità, ma di spingere il calcio a far crescere e valorizzare i talenti migliori, non a drogare i bilanci realizzando utili puramente finanziari a danno dell’economia reale. Questi siamo, e non vuol dire che non sia cambiato nulla. Perché un tecnico nuovo e bravo ha preso in mano questa squadra e saprà tirarla su, a patto di essere aiutato. Sugli spalti di Skopje, in una partita decisiva, c’erano centotrenta tifosi azzurri e trentamila macedoni. Davvero la Nazionale vale così poco per gli italiani? Davvero i club non avrebbero potuto, dovuto inviare frotte di quei tifosi che in campionato finanziano oltre ogni ragionevolezza e, talvolta, oltre ogni etica? Davvero possiamo ridurre la contendibilità del successo a un palio strapaesano da disputare sotto un anacronistico campanile? Svegliatevi presidenti, smettetela di fare i mercanti di figurine Panini, scucitevi quegli scudetti di dosso che vi appesantiscono oltre ogni decenza, e provate ad alzare lo sguardo oltre il vostro naso. L’Italia merita molto di più.