Acerbi, simbolo dell’Italia che resiste

Leggi il commento sul difensore azzurro e sulle prestazioni della Nazionale
Acerbi, simbolo dell’Italia che resiste© Getty Images
Roberto Beccantini
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Era appena il 2021 quando, consumati dall’estasi di una corona europea così improvvisa da renderci tutti parolai (e solo i migliori, parolieri), ungemmo mezza Europa perché il Pallone d’Oro potesse onorare i lombi di Jorginho, faro del Chelsea e della Nazionale, campione sia a Oporto, in Champions, sia a Londra. Aveva 29 anni. Dopo la sconfitta con la Spagna, in compenso, abbiamo pregato Roberto Mancini, ebbene sì, proprio lui, ct dal maggio 2018, di considerare altre rampe, altri registi. Fatto

Francesco Acerbi ne ha 35. Uno in meno di Leonardo Bonucci, le cui “bonucciate” di ispanica memoria stanno ormai invadendo l’archivio popolare e populista al ritmo delle “maldinate” d’epoca (da Cesare Maldini: troppo elegante, a volte, per accorgersi della caducità dell’effimero) e delle “cassanate”: queste, almeno, fuori campo. 

Acerbi combatte e resiste

È l’usato che combatte e resiste, Acerbi. Ha sbaragliato un tumore, è uno di quegli stopper che, pur di non scivolare sulla buccia della retorica, scalano le rocce e le vette dei ciclopi con le piccozze della resilienza. Erling Haaland, ecco lo scalpo più ambito. Giocava ancora nella Lazio, e il gol con il quale Sandro Tonali avrebbe avvicinato il Diavolo allo scudetto, allontanandovi l’Inter, gli strappò una risata tanto isterica e sguaiata da indignare i Torquemada del web, pronti a consegnare l’autore al rogo dei traditori. 

Potete immaginare le reazioni bipartisan il giorno del trapasso. A suggerirlo era stato Simone Inzaghi, suo precettore a Formello. Il tifoso è lotta continua e capriola infinita. Dipende dalle processioni sotto la curva, dai risultati. Acerbi, per un periodo, si ritrovò in mezzo al fuoco di insulti feroci. Oggi non più: dimenticato dai laziali, adottato dagli interisti

La Nazionale fa fatica

Se il campionato, imbottito com’è di stranieri, ha espresso tre finaliste nelle coppe, la Nazionale fatica a risalire dal burrone del secondo fallimento consecutivo in chiave mondiale (24 marzo 2022, Italia-Macedonia del Nord 0-1 a Palermo). I sette “nativi” alternati dall’Inter a Istanbul, fra titolari e sostituti, testimoniano che, piano piano, qualcosa comincia a muoversi, e persino qualcuno: alludo a Davide Frattesi, l’ultimo aspirante Golia, e all’argento del Mondiale under 20. Ma evidentemente, e naturalmente, non basta. 

Il peso netto del Mancio rimane la media fra la cima di Wembley e l’abisso del Barbera. Gli sviluppi ondivaghi della Nations League hanno confermato l’andazzo. Ciro Immobile, a 33 anni, è il più forte centravanti dei nostri cortili: uno sfracello, certificato dai quattro scettri di capo-cannoniere; in azzurro, viceversa, un fuscello. E poi Federico Chiesa. «Quousque tandem», fino a quando daremo la colpa del suo amletismo tattico a Massimiliano Allegri? È un’ala che la ricerca spasmodica del calcio totale ha ridotto nel limbo del pericolosamente generico. Per tacere del crac al ginocchio sinistro, fantasma che lo tiene prigioniero. A prescindere dai carcerieri o dai liberatori. E dal gol di domenica, in flagrante contropiede (si può dire?).  


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