Italia, una vittoria per cambiare

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Italia, una vittoria per cambiare© Getty Images
Alessandro Barbano
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Seicentoventi giorni dopo la vittoria degli Europei e trecentosessantaquattro dopo la seconda consecutiva esclusione dai Mondiali, l’Italia riparte dalla notte di Wembley. Non solo perché inizia il suo percorso di qualificazione affrontando a Napoli l’Inghilterra che sconfisse due anni fa in finale, ma perché i nove undicesimi della formazione in campo questa sera facevano parte della fortunata comitiva che si aggiudicò il titolo continentale. Se aggiungi che i restanti due titolari sono uno degli infortunati della spedizione europea nel 2021, Pellegrini, e un debuttante italo-argentino di ottime speranze ma di poca esperienza, Retegui, puoi trarre la percezione che il tempo, attorno alla Nazionale di Roberto Mancini, si sia fermato. O meglio, sia ritornato al punto da cui tutto iniziò, dopo una circolarità perfetta che ha visto le più originali sperimentazioni.

La denuncia di Mancini

Il cittì, che aveva stupito nel suo primo ciclo azzurro per il coraggio di innovare uomini e schemi, si ripropone alla guida del secondo con i panni del conservatore. Non è, la sua, una resipiscenza sportiva, ma una sofferta presa d’atto che i margini di manovra sono per lui quasi inesistenti. Con quanta insofferenza Mancini viva questa condizione lo prova la vibrata denuncia lanciata appena due giorni fa al sistema calcio, e in primo luogo alla politica sportiva dei club, che pure hanno qualificato sei squadre, composte quasi interamente da stranieri, nei quarti di Champions, di Europa League e di Conference League. Alla miopia dei loro presidenti, e agli sconti fiscali che hanno storpiato l’identità del calcio italiano, sembra indirizzata la pesante rampogna del cittì, quando dice senza mezzi termini: state uccidendo la Nazionale. I conti non sembrano dargli torto. Più dei due terzi dei titolari della Serie A non sono italiani, e questa percentuale cresce nei settori giovanili. In alcuni ruoli, come quello degli attaccanti, la scelta di un selezionatore si riduce a pochissimi nomi. Se ti accade di avere Raspadori, Chiesa e Immobile infortunati, e Scamacca convalescente, il centravanti devi letteralmente inventarlo. È quanto sta per fare il nostro commissario, puntando, con un’audacia che pure gli va riconosciuta, su un esordiente che, come Papa Francesco, viene dalla fine del mondo. Ancorché la fine del mondo, nel calcio, è anche quella che sta in cima al mondo. La scelta non è priva di suggestioni. L’attaccante italo-argentino debutta nello stadio che porta il nome di Maradona e, a dispetto della sua giovane età, la sorte gli carica sulle spalle una responsabilità straordinaria: salvare l’Italia dall’esilio in cui è precipitata e riportarla dove meriterebbe di stare. La notte di Napoli, con i suoi profumi inebrianti di scudetto, è complice di questa sfida. Nessun pubblico meglio di quello che, non a caso, si definisce azzurro potrebbe sostenere l’auspicato rinascimento dell’Italia. La città, addobbata già come un presepe, pare da sola un rito propiziatore.

La pianificazione della Premier

Ma la sostanza del confronto sportivo mostra tutto intero il disagio della Nazionale al confronto con una squadra, quella inglese, che racconta tutta un’altra storia. Non solo perché esprime il primato del campionato più ricco, più organizzato e, con i suoi stadi-salotto, più infrastrutturato d’Europa, ma perché declina questa ricchezza conciliando la caccia ai top player con la strategia dei vivai. Non a caso la sua forza è l’accademia dei club, nelle cui squadre giovanili sono cresciuti talenti come Foden, Bellingham e Saka. Non a caso nel campionato che pure registra una percentuale di stranieri simile a quella italiana, otto delle prime quindici posizioni nella classifica dei cannonieri sono occupate da atleti inglesi. Questo per dire che la competizione di campioni come Haaland non mortifica ma esalta l’ambizione degli “indigeni”. Per fortuna il divario che qui raccontiamo non scrive da sé il risultato della partitissima, né ha garantito fin qui all’Inghilterra un recente trofeo. Per fortuna l’Italia ha più volte, nella sua storia, tirato fuori dal cilindro l’energia supplementare del suo straordinario spirito di gruppo. Per fortuna le imprese impossibili da sempre ci esaltano. A questa riserva di orgoglio stasera facciamo affidamento, con gli occhi e il cuore del Paese rivolti verso Napoli. Sperando in una vittoria che sia la molla per ricominciare a credere e investire nella Nazionale, e non l’alibi per non cambiare.


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