Gli occhi lucidi del ct dopo il terzo gol di Grifo sono l’humus del rimpianto azzurro. Il Qatar è alle porte e un’Italia da Qatar avvia a Tirana il suo assurdo sabbatico. Però nell’avvicendarsi di rodati talenti e misteriose promesse germogliano le speranze di un nuovo ciclo. La cui filosofia è chiara: innestare coraggiosamente una pattuglia di giovanissimi tra i punti fermi della Nazionale manciniana, il cui simbolo resta la geometrica sapienza di Marco Verratti. L’Albania è uno sparring partner di rispetto, ordinato in tutti i reparti e aggressivo nel pressing, tanto da mostrare nella sua cartina di tornasole le prime certezze e le irrisolte incompiutezze dell’Italia.
Iniziamo da queste ultime: al netto delle diverse soluzioni fin qui provate, il ct non dispone ancora di un ricambio della triade difensiva di centrali, che sia pari, per affidabilità, alla media storica della Nazionale. Bonucci e Bastoni, per motivi diversi, non sono l’argine invalicabile che l’Italia merita. Lo juventino, fuori tempo sul gol del vantaggio albanese, non ha più il ritmo e la prontezza di un tempo. L’interista non sembra aver superato quei limiti tecnici - gioca con un piede solo - e tattici che hanno fin qui impedito al suo potenziale talento di tradursi in realtà d’eccellenza. Scalvini è un diciottenne di sicuro valore, ma tutto da costruire.
A centrocampo e in attacco l’assortimento è certamente più ampio. L’asse Verratti-Tonali è la nuova dorsale del gioco azzurro, cui si affianca finalmente, con Di Lorenzo e Dimarco, una coppia di esterni all’altezza, che non si vedeva dai tempi dell’infortunio di Spinazzola agli Europei. Barella in panchina è un lusso che spiega la ricchezza del patrimonio azzurro. Quanto a Jorginho, c’è da giurare che, a marzo, farà ancora parte del gruppo.
Davanti Mancini le ha provate tutte, e a furia di provare alcune conferme sono venute. La prima: Raspadori è il centravanti che più risponde alle aspettative del ct. È sempre in sintonia e in empatia con i compagni, gioca di sponda, apre spazi per l’inserimento da dietro, è al tempo stesso altruista e affamato di gol. Ieri non ha segnato, ma il raddoppio azzurro è praticamente suo. L’alternativa a Immobile non è più un’incognita.
Grifo non è un fuoriclasse, ma un rincalzo di assoluta fiducia, capace di rispondere alla chiamata con la concretezza di un attaccante temprato dalla Bundesliga. Lo dimnostra la freddezza mostrata in entrambi i gol. Quando Chiesa sarà Chiesa, l’italo-tedesco potrà rappresentare un ricambio valido dello juventino. Zaniolo si conferma invece nella sua incompiutezza. È triste doverlo ammettere: a dispetto di ogni sforzo per inserirsi nel gioco, non supera una certa vaghezza tattica, un’incapacità di restare concentrato nei momenti chiave, quando di tratta di finalizzare in porta, ma anche quando più semplicemente si deve anticipare l’avversario su un passaggio verticale. È come se lo straordinario talento di questo eterno ragazzo restasse ingabbiato in una crisalide che ne limita l’espressione.
Molte lune risplenderanno fino a marzo, e altrettante declineranno in una stagione inedita, in cui la condizione di forma degli atleti farà i conti, in modi diversi ma ugualmente impattanti, con il Mondiale o piuttosto con la pausa che si apre attorno al campionato del mondo per i non convocati. Però, tra tanti esperimenti, il riformismo di Mancini prende forma: la nuova Italia non nascerà da una rivoluzione, ma piuttosto da una rivisitazione. Però non c’è dubbio che diverse maglie da titolare siano ancora contendibili. Provare per prenderle.