Nazionale e stranieri, il problema è Vecio

Nazionale e stranieri, il problema è Vecio© LAPRESSE
Ivan Zazzaroni
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Tra pochi giorni celebreremo i 40 anni dal trionfo nel Mondiale di Spagna, quello di Enzo Bearzot. Sfogliando la collezione del giornale alla ricerca di alcuni contenuti di allora, un collega ha trovato – e l’ha subito segnalata – la polemica innescata alla vigilia del ferragosto ’84 proprio dal Vecio sulla presenza degli stranieri in Italia. La Nazionale Olimpica - ripescata, lei sì - aveva appena rimediato una pessima figura ai Giochi di Los Angeles e il ct se ne era uscito con queste parole: «Gli stranieri ci stanno rovinando. Sono tutti attaccanti e centrocampisti. Con due per squadra ho 32 giocatori in meno da scegliere (la serie A era ancora a 16, nda). 

«Gli stranieri di classe sono utili a qualsiasi squadra» era stata la replica di Nils Liedholm «con loro accanto i giovani possono acquisire personalità e esperienza». Una quarantina di anni dopo siamo arrivati a due italiani per squadra e gli stranieri di classe sono praticamente spariti: ne restano pochissimi e quasi tutti over trentaquattro.  

Visto ciò che sta accadendo al nostro calcio anche in campionato e nelle coppe, sono convinto che il modo migliore per ricordare Bearzot sia prendere spunto dal suo atto d’accusa per una riflessione profonda e articolata che incoraggi soluzioni immediate, condivise (seh, addio) e efficaci.  

Storicamente noi italiani non siamo capaci di sfruttare i successi e nemmeno gli insuccessi: i primi, dopo i festeggiamenti, ci spingono a sentirci grandi e a ritardare le riforme, mentre i secondi moltiplicano chiacchiere e buone intenzioni. Fra le quali mancano - considerata la notevole presenza di autonominati esperti, dirigenti di rango, opinionisti di scuola (Coverciano) - i pensieri e suggerimenti del Bar Sport, dove si potrebbero registrare poche sante cose sagge. 
Come i discorsi di Bearzot non a caso condivisi dal popolo. E dagli allenatori e dai giocatori più scafati. Per avere in squadra Bagni, genio tuttofare e potente, il Vecio dovette pregarlo e ripregarlo: Salvatore aveva già in mente la figura di palta che avremmo fatto. Lui che almeno era cresciuto insieme a Maradona. Al Bar Sport si diceva, ad esempio - come Enzo - che l’apporto tecnico degli stranieri indicato non solo da Liedholm ma da illustri critici - era vanificato anche dalla loro incapacità di comunicare. E già c’era chi sottolineava i pregi della comunicazione. Campioni come Falcao, Platini, Boniek, Zico e Cerezo facevano squadra e erudivano i pupi non solo con l’esempio fisico, ma parlando un divertente italiano. Anni dopo - tanto per ribadire il danno - un club che aveva ingaggiato un famoso greco dovette tener sotto mano, per gli incontri con l’allenatore, un farmacista ellenico che faceva da interprete. L’ignoranza ha fatto il resto.  
E Mancini non ha - come successe agli Europei - diplomati di vaglia e anche qualche laureato: stavolta - senza offesa - grazie agli stranieri si comincia dalle elementari. E da Pobega, Ricci, Raspadori, Bastoni, Scamacca, ragazzi seri. Più di altri. 

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