Firenze torna in Europa dopo sei anni e celebra il rientro nella Coppe in una delle notti più emozionanti degli ultimi tempi, battendo la Juve. Anzi, la Juve di Vlahovic, entrato nel finale giusto per prendersi i fischi e le pernacchie del popolo viola. E proprio questa è la grande impresa che si è consumata ieri al Franchi, strapieno di gente e anche di amore: la Fiorentina è entrata in Conference, anticipando l’Atalanta, nonostante abbia giocato senza il serbo da gennaio in poi. Un capolavoro multiplo, se riletto a qualche mese di distanza da quel doloroso addio: cassa piena di soldi, anche se molti sono stati sprecati per Piatek e, soprattutto, per Cabral, e qualificazione europea messa al sicuro quando sembrava ormai svanita.
Fiorentina, ora tocca a Commisso. Atalanta, si chiude un ciclo
L’altalena viola è stata costante, eppure Italiano non si è mai perso d’animo: è arrivato per cambiare tutto e ci è riuscito giocando un calcio molto spregiudicato, a volte fin troppo, e se la gente ha riempito di nuovo lo stadio, come ieri sera, vuol dire che ha centrato il bersaglio. Ora tocca a Commisso e ai suoi collaboratori: se riusciranno a investire bene i soldi di Vlahovic, potranno anche aumentare le ambizioni della Fiorentina, che nel suo tecnico ha trovato un’icona in cui specchiarsi. Non era semplice, per Italiano, imporsi in una piazza così ambiziosa, anche se aveva appena salvato lo Spezia puntando proprio sul gioco, sull’intensità e a volte su una imprevedibile follia riproposta a Firenze, dove è finalmente riemerso l’entusiasmo del passato. Bisogna coltivarlo, accompagnando la gente verso un sogno: lottare per un trofeo e, un giorno non troppo lontano, riaffacciarsi anche in Champions, da dove è uscita l’Atalanta con l’ennesima sconfitta casalinga della stagione. A Bergamo si è chiuso un ciclo tra gli applausi alla squadra e anche a Gasperini, con cui la gente nerazzurra si è divertita in Italia e in Europa: l’abbraccio a Ilicic, rientrato negli ultimi minuti forse per un saluto definitivo, diventa il gesto simbolico di uno stadio intero che saluta una squadra da Favola, destinata a essere ricostruita con lo stesso allenatore che l’ha portata al vertice sfruttando un calcio più olandese che italiano (con la I minuscola).
La sfida tra Mourinho e Sarri: Lazio davanti, ma ora Lotito vende
A Roma la sfida tra Mau e Mou si è conclusa in modo clamoroso, se consideriamo investimenti estivi, fatturati, monte ingaggi e presenze allo stadio: la Lazio, conquistando un punto contro il Verona, è arrivata al quinto posto, davanti alla Roma da cui a lungo era stata preceduta. Sarri ha fatto un girone di ritorno da Champions, a conferma che per trasformare la squadra dal punto di vista tattico ha avuto bisogno di tempo e, soprattuto, di uscire dalle Coppe, ritenute un peso troppo ingombrante per una rosa che, come già accadeva ai tempi di Inzaghi, non era stata allestita per affrontare tre competizioni. Sarri firmerà nei prossimi giorni un contratto che lo legherà alla Lazio fino al 2025: dovrà imporre la sua legge e trasmettere le sue ambizioni al presidente Lotito, che ripartirà vendendo Milinkovic Savic e, forse, anche Luis Alberto. Considerando che Leiva tornerà in Brasile, non sarà facile allestire una squadra più competitiva di questa, ma a volte le idee contano più dei soldi e dei giocatori di primo piano. Si tratta di centrare gli acquisti: a Sarri servono giovani di qualità, capaci di soffrire e di adattarsi al suo calcio. Di contro, Mau dovrà affrontare l’Europa League non come un fastidio ma come una fantastica avventura, considerando che nell’ultima finale si sono affrontati l’Eintracht e i Rangers, non certo squadre di primo piano.
Immobile ancora re dei bomber: all'Italia di Mancini ne servono altri dieci
L’ultimo pensiero va a Immobile, autore di un’altra straordinaria cavalcata: con 27 gol ha vinto per la quarta volta il titolo dei cannonieri in serie A, impresa mai riuscita a un attaccante italiano. Una risposta immediata a chi lo ha messo sotto accusa per il mancato accesso dell’Italia ai Mondiali. Se gli azzurri sono rimasti a casa, la colpa non è stata certamente sua. Anzi, magari Mancini avesse avuto altri dieci come Ciro, ora non saremmo costretti a pensare come trascorrere il Natale senza Qatar.