Meritiamo gli esami di riparazione. Il campo ci ha rimandato in coraggio e lucidità, prima che in qualità tecnica: è proprio in personalità che siamo risultati largamente insufficienti. E non soltanto in Irlanda del Nord dove abbiamo sbattuto addosso a una squadra di serie B: soprattutto i due confronti con la Svizzera e quello con la Bulgaria ci hanno riportato indietro di parecchi mesi. Purtroppo non siamo stati in grado di sfruttare l’entusiasmo creato dalla conquista del titolo europeo: forse qualcuno ha peccato di presunzione, ritenendosi più forte di quello che era e che in realtà è.
Siamo appesi a un filo, ora. Il filo della speranza di trovare da qui a marzo ciò che ci è mancato in questo grigissimo autunno. Per delusione, si possono istruire tutti i processi immaginabili, ma è una pratica che non ha molto senso, non portando a qualcosa di buono: l’atteggiamento più maturo, in situazioni come quella che la nostra Nazionale e il nostro calcio stanno vivendo, deve condurre alla consapevolezza dei limiti e dei particolari da correggere. È il momento di scegliere con coraggio, appunto. Proprio l’intraprendenza, il coraggio nelle scelte è mancato per tutto il primo tempo, frazione durante la quale abbiamo giocato a pallanuoto facendo circolare il pallone con insistenza e lentezza solo per linee orizzontali e tentando occasionalmente l’”imbucata”, peraltro quasi sempre imprecisa.
È sparito Jorginho che si è limitato all’azione di raccordo ed è stato naturale pensare che fosse ancora condizionato dall’errore dell’Olimpico. Insigne e Barella non hanno fatto nulla di segnalabile, Berardi ha provato a combinare qualcosa di discreto, ma non è andato oltre le intenzioni. Chiesa è lo stesso delle ultime prestazioni con la Juve.
Non sappiamo più segnare, poi, il pareggio è diventato la nostra condizione abituale, e non è più tollerabile rimproverare a Immobile di non riuscire a buttarla dentro quando l’asticella si alza. O lui o niente. Il volto di Mancini, inquadrato spesso dalle telecamere, trasmetteva insoddisfazione e sfiducia.
Nulla di quello che aveva preparato stava riuscendo: la costruzione a tre, con Di Lorenzo altissimo e Berardi sul centrodestra per creare superiorità risultava prevedibile e controllabile proprio perché al momento di stringere, ovvero del passaggio liberatorio, nessun centrocampista si assumeva il compito di tentare.
Le sostituzioni sono risultate utili come un congelatore nel deserto. Secondi in un girone a cinque elementare. Ma anche le cose elementari ormai non ci riescono più. Non possiamo permetterci di saltare il secondo Mondiale di fila, una quaresima di otto anni sarebbe una disgrazia sportiva e sociale. Solo chi si sente in grado di portarci in Qatar può far parte della Nazionale del nuovo miracolo italiano e mentre lo scrivo ripenso a come ci sentivamo l’estate scorsa. Il nostro tempo lontano. Cento anni fa, il 16 novembre del ‘21, nasceva Mondino Fabbri, l’uomo della prima Corea. La seconda l’ha firmata Ventura. La terza non voglio nemmeno immaginarla.